L’azitromicina potrebbe rappresentare una cura anti-Covid efficace, soprattutto per quanto concerne gli esordi della malattia. Lo rivela uno studio pubblicato su “The Lancet”, a firma di Jigar Patel, Ivan Berezowski, Ahmed Abdelmonem, Dania Taylor e Ali Pourmand, i quali, a loro volta, hanno citato altri lavori contenuti nella letteratura attuale in materia di Coronavirus. Essi scrivono: “Le proprietà antivirali e antinfiammatorie dell’azitromicina sono adatte ai pazienti affetti da Covid-19 in fase iniziale. Tuttavia, i pazienti che si avvicinano ai 14 giorni dall’inizio dei sintomi potrebbero non rappresentare la popolazione più adatta per lo studio, poiché alcuni pazienti potrebbero essere nelle ultime fasi della malattia o essere vicini alla risoluzione della stessa”.



Peraltro, fino a questo momento non è stato chiarito se i criteri universali predeterminati siano stati utilizzati in tutti i centri partecipanti per classificare i pazienti come aventi malattia da lieve a moderata e “se i raggi X del torace o le scansioni CT, o entrambi, siano stati fatti prima della categorizzazione. Occorrerebbe sapere, inoltre, se il regime di azitromicina (500 mg una volta al giorno per 14 giorni) sia basato su linee guida o su raccomandazioni prestabilite. Riteniamo che sia irragionevole esporre qualcuno con 14 giorni di sintomi, che potrebbe già essere vicino alla risoluzione, ad altri 14 giorni di trattamento con azitromicina”.



AZITROMICINA CONTRO COVID? CI SONO ALCUNI DUBBI

Negli studi antecedenti, si legge ancora su “The Lancet”, i partecipanti che avevano ricevuto l’80% o più dosi di azitromicina al giorno 14 erano pazienti idonei, ma l’80% di 28 compresse dovrebbe essere 22, non 24. C’è quindi un probabile errore numerico che deve essere chiarito, altrimenti i risultati raccolti fino a questo momento rischiano di non essere corretti e di diffondere false convinzioni nel mondo della scienza.

Inoltre, segnalano i ricercatori, “per sostenere l’affermazione che l’attività antivirale deve essere valutata all’inizio della malattia, gli autori delle precedenti ricerche hanno impropriamente citato il loro stesso protocollo di studio. Infine, quasi la metà della popolazione dello studio includeva casi non confermati di Covid-19, il che potrebbe compromettere la validità dei risultati”.