Il fenomeno dei baby influencer sta spopolando sempre di più tanto all’estero quanto in Italia, con bambini e (soprattutto) bambine sempre più presenti sui social, al fianco dei loro ‘colleghi’ adulti. Tra un balletto e un viaggio da qualche parte nel mondo non mancano, ovviamente, unboxing e sponsorizzazioni a questo o a quell’altro marchio, e si va dai cosmetici e dai prodotti per la skincare, fino a vestiti e giocattoli.
Insomma, quello dei baby influencer è un mercato sempre più proficuo e florido, sia per le piccole star (o, meglio, per i loro genitori) che per le aziende, sempre più interessate a ritagliarsi una fetta della torta. Tuttavia, quello che potrebbe essere visto come un gioco, sia agli occhi del bambino che dei genitori, nasconde anche parecchi problemi, rischi ed insidie. Tra queste spicca sicuramente il rischio di sessualizzazione e pedofilia, ben esposto da una recente inchiesta di New York Times e Wall Street Journal, mentre non vanno neppure sottovalutati i rischi per lo sviluppo mentale del baby influencer e per la sua privacy. Tendenza sempre più preoccupante, infatti, è quella di esporre sui social i propri figli fin dalla più tenera età, con foto scattate e postate già dall’ospedale dopo il travaglio sul profilo appositamente creato dai genitori.
Rischi associati al mercato dei baby influencer
Lasciando da parte il rischio pedofilia nel mercato dei baby influencer, è interessante l’aspetto psicologico del bambino. Secondo diversi studi, infatti, i piccoli eccessivamente esposti online potrebbero sviluppare problemi nelle interazioni sociali con gli adulti, che vengono filtrate dalla lente social. Similmente, sono ben documentati casi di difficoltà nella gestione delle emozioni e dello stress (si pensi, per esempio, agli effetti devastanti di una gogna mediatica su di un giovane o giovanissimo), ma anche la sovrapposizione mentale tra mondo reale e virtuale.
Insomma, pedofilia e psicologia, ma dietro ai baby influencer ci sono anche pericoli per la privacy dei bambini esposti online. Uno studio europeo ha stimato che circa l’80% dei bambini sotto i due anni ha già una presenza social, che si traduce in centinaia e centinaia di immagini già pubblicate in rete. Immagini che sono dati e hanno un’impronta potenzialmente eterna e che potrebbe essere sfruttati anche a decenni di distanza. Inoltre, i baby influencer sono costantemente esposti al rischio di furto dell’identità, mentre aziende e brand (o anche i genitori, talvolta) possono facilmente manipolarli per fini commerciali ed economici.
Come tutelare i baby influencer: l’equilibrio tra legge e buon senso
Appare, dunque, evidente la necessità di tutelare i baby influencer, sia dai rischi per la privacy, che da quelli di sfruttamento, che sia sessuale o economico. Un esempio legislativo è quello della Francia, adottato già nel 2020 e che fondamentalmente estende le tutele già esistenti sui minori che lavorano in altri settori, come il cinema o la televisione. Contro lo sfruttamento sono previste riduzioni dell’orario lavorativo in base all’età, l’accredito dei guadagni su conti a loro intestati e bloccati e tutele speciali nei contratti lavorativi.
Similmente, riguardo alla privacy i baby influencer in Francia possono richiedere, finché minorenni, ai gestori delle piattaforme online il cosiddetto oblio digitale. Si tratta dell’eliminazione di ogni tipo di contenuto, dato o informazione pubblicati e raccolti su social e siti. Innegabile, tuttavia, che la tutela migliore per i bambini è la responsabilità genitoriale, che deve sempre passare da una corretta valutazione di rischi e benefici e, soprattutto, dall’imprescindibile volontà del baby influencer,