Nell’ultimo periodo il grande schermo è stato animato da diversi “film sui film”, ognuno con il proprio stile e tematiche: Nope tratta le condizioni dell’industria, lo sfruttamento delle maestranze e le scelte dei consumatori attraverso la fantascienza; The Fabelmans è una storia di formazione in cui il cinema è un mezzo per processare e affrontare la realtà. Se il primo è ambientato ai giorni nostri e il secondo in un passato non troppo lontano, Damien Chazelle torna con Babylon agli anni ’20 e al passaggio dal muto al sonoro, un’epoca di eccessi, stravolgimenti e grandi speranze. Questo colosso di oltre tre ore affronta una moltitudine di tematiche legate all’industria hollywoodiana, ma il bilancio finale sarà un’ode o una condanna?
Manny Torres (Diego Calva) è un tuttofare pieno di risorse, incaricato di barcamenarsi tra i festini sregolati di Hollywood in modo che non ci scappi il morto. A uno di questi party rimane folgorato dalla giovane Nellie La Roy (Margot Robbie), “star” autoproclamata in cerca di gloria e successo; il caso li porterà a lavorare sullo stesso set, un’esperienza che avvierà le loro carriere e li porterà a conoscere diverse figure eccentriche, primo tra tutti il divo Jack Conrad (Brad Pitt), tanto problematico quanto affascinante.
La campagna promozionale di Babylon ha posto l’accento sulla sregolatezza e gli eccessi dell’industria cinematografica dell’epoca, e il film certo non delude su quel fronte: le scene di baldoria e puro caos, per quanto ricoprano un minutaggio non esagerato, sono messe in scena con altrettanta sfrontatezza, in elaborati piani sequenza che riprendono coreografie estremamente complesse accompagnate da una colonna sonora memorabile. La musica, premiata ai Golden Globe, riprende le sonorità del jazz dell’epoca dando loro un’interpretazione più moderna; oltre ai pezzi più roboanti, il leitmotiv che lega i due protagonisti pare uscito direttamente da La La Land e rimane impresso ben oltre la durata della visione.
Nonostante i contenuti forti dei segmenti sopracitati, Babylon passa molto più tempo sul set che nelle ville delle star, e ne trasmette l’atmosfera con un uso maestrale del montaggio. Il nervosismo, la corsa contro il tempo, gli imprevisti che emergono e si accumulano durante la giornata, ma anche l’inventiva dei lavoratori a fronte di tali ostacoli e la magia dell’inquadratura perfetta. Non pensate però che il film sia una “lettera d’amore” al cinema, almeno non del tutto: il film mostra di continuo la brutalità con cui venivano trattate le maestranze durante quell’epoca, le condizioni di sicurezza inesistenti, gli incidenti prontamente sepolti e mai riesumati, il trattamento riservato agli attori, al tempo stesso dèi capricciosi e bestie da soma, sfruttate fino all’ultimo per poi essere abbandonati al primo rovescio della sorte. Damien Chazelle riconosce i portenti che può generare la settima arte, ma mette in scena con umorismo macabro il lato oscuro che vi si cela spesso dietro.
Tra le performance, Diego Calva nei panni del protagonista è una piacevole sorpresa: il suo Manny Torres è per Hollywood ciò che Henry Hill di Quei bravi ragazzi era per la mafia, un uomo risoluto e astuto che vedrà i suoi obiettivi cambiare nel tempo e cambierà con essi, adattandosi e facendo compromessi lungo la strada. Margot Robbie porta la giusta energia alla figura di Nellie La Roy, ambiziosa attrice capace di riservare grandi sorprese, ma il ruolo non si discosta granché da quelli che hanno reso l’attrice famosa, e sarebbe piacevole vederla in futuro in parti più variegate. Su tutti torreggia Brad Pitt con il suo Jack Conrad, una star della vecchia Hollywood desiderosa di veder cambiare l’industria, ma che rischia ironicamente di non rimanere al passo coi tempi. Damien Chazelle ha saputo sfruttare a pieno il talento comico dell’attore, nascondendo tra una gag e l’altra una storia incredibilmente tragica, coronata da un piano sequenza da brividi per più di un motivo.
I comprimari risultano meno efficaci, non tanto per le interpretazioni quanto per lo spazio a loro concesso: se Sidney Palmer, trombettista jazz di Jovan Adepo, ha un valore tematico e valorizza la colonna sonora del film, la Fay Zhu di Li Jun Li ha un minutaggio eccessivo per il ruolo che ricopre, e il personaggio di Toby Maguire, su cui non faremo rivelazioni, trascina il film in una parentesi alquanto bizzarra. In generale il ritmo del film, che parte con grande energia, è appesantito da una narrazione che rimbalza da un personaggio all’altro non sempre in maniera organica, e perde slancio nelle fasi conclusive. In particolare, il finale è contraddistinto da un montaggio che, a dispetto di quella che dovrebbe probabilmente essere un’ode al cinema, mette alla prova la sospensione dell’incredulità dello spettatore.
Babylon è quindi un film multiforme, il cui valore tecnico è asservito a una moltitudine di temi e messaggi che spingono in mille direzioni diverse, forse eccessivamente. Non nasconde le sue ispirazioni e omaggi, né la sua ambizione, ma nonostante i suoi pregi chi ha visto C’era una volta a Hollywood o The Wolf of Wall Street potrebbe avere l’impressione di non star vedendo niente di nuovo. Damien Chazelle rimane un regista capace di regalare immagini incredibili e interpretazioni di spessore, ma non sempre un budget maggiore e un minutaggio gargantuesco si traducono in un film migliore.
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