Chiunque abbia visto i quindici film in concorso alla prima edizione online della Berlinale di quest’anno, non aveva dubbi: il film Bad luck banging or loony porn (che si potrebbe tradurre “Sfiga in serie o porno-follia“) di Radu Jude era il migliore. La giuria, di cui faceva parte anche Gianfranco Rosi, non si è fatta intimidire per le eventuali critiche negative dovute alle immagini, volutamente e provocatoriamente pornografiche, che il film contiene e gli ha attribuito l’Orso d’oro. Secondo il regista rumeno, il cinema è un mezzo espressivo talmente potente che non può essere utilizzato per raccontare storielle o limitarsi appunto alla narrazione. Questa sua ultima opera dimostra questa sua tesi in maniera esemplare.
Il film sorprende lo spettatore, ancora prima dei titoli di testa, mostrando, per oltre tre minuti e mezzo, una donna mascherata e un uomo che fanno l’amore in tutti i modi e con molta passione. Potrebbe essere un video di YouPorn se non fosse per un comico imprevisto. Qualcuno, fuori campo, batte con insistenza dei colpi su una porta e la voce di un’anziana chiede se sono state ritirate delle medicine in farmacia e che deve fare con un bambino. La donna, adesso senza maschera, interrompe la fellatio, in cui è impegnata in primo piano, e risponde scocciata per poi riprendere la sua intima attività. Dopo questo prologo hard e i titoli di testa inizia il film che è diviso in tre parti, ognuna di circa mezzora, introdotte da siparietti con titoli ironici e canzoncine in francese d’accompagnamento, e un epilogo con tre finali.
Nella prima parte si scopre che la donna è una bravissima professoressa che insegna in una scuola bene di Bucarest. Ha girato il video con il marito per uso privato e non capisce come sia finito su internet. Tutta la prima parte è un’odissea senza sosta della professoressa per Bucarest. Come il protagonista di Ladri di biciclette cerca disperatamente di recuperare il suo strumento di lavoro, la professoressa cerca di recuperare la sua reputazione senza la quale potrebbe perdere il lavoro. La sua passeggiata senza mai riposo avviene in una città dove tutti indossano la mascherina perché il film si svolge ai giorni nostri, della pandemia globale. La donna incontra la preside della scuola la quale le annuncia che nel pomeriggio ci sarà una riunione: dovrà giustificarsi con i genitori dei suoi studenti, i quali potrebbero chiederne il licenziamento in tronco. La professoressa si giustifica sostenendo che probabilmente il video è stato diffuso dal tecnico dei computer al quale ha affidato per una riparazione il suo personal.
La donna continua la sua corsa senza fine e parla tramite cellulare con il marito. Scopre così che il video da lui cancellato su un blog è invece ricomparso in rete e si diffonde come un virus. Lei, messa alla gogna, gira per una Bucarest infettata non solo dal Covid, cercando invano una spiegazione per la sua disgrazia e di soffocare lo scandalo. Lo spettatore attento si accorge facilmente che questo viaggio tra farmacie, uffici, bar, supermercati è un viaggio in una società malata che non ha sviluppato anticorpi, che non ha fatto i conti con i peccati degli anni della dittatura di Ceausescu ed è in balia di un capitalismo disumano. Fanno da sfondo alla passeggiata palazzi modernissimi, edifici in macerie, costruzioni orribili, cartelloni pubblicitari dovunque, simboli di marchi alla moda, macchinoni costosi, immagini di ricchezza e di povertà anche culturale.
I discorsi delle persone in fila nei negozi che visita, o quelli delle persone che incrocia per strada, l’approccio di un anziano che la infastidisce ma le regala una rosa, lo scontro con un uomo che parcheggia un Suv sul marciapiede e replica alle sue critiche insultandola, sono il succo del film. Non sono parole, situazioni o eventi casuali, ma raccontano una società maleducata e regredita, piena di ricchi incivili e poveri egoisti. La società rumena è la migliore dimostrazione delle tesi sulla servitù volontaria di Etienne de La Boétie, per cui qualunque tiranno detiene il potere fintanto che i suoi sudditi glielo concedono. E Ceausescu è stato il padrone della Romania grazie alla complicità di milioni di rumeni e poi nel 1989, in meno di 24 ore, è tornato a essere quello che era, un vecchietto inerme, che è stato soppresso con la moglie, unico capro espiatorio di una colpa collettiva.
La seconda parte è un godibilissimo dizionario della pornografia culturale della società rumena ma non solo. In fondo si tratta ancora di una passeggiata, non per una città ma attraverso simboli, immagini idee. Da 23 agosto 1944 a Zen, passando per Aborigeni, Amore, Cinema, Denaro, Esercito, Intimità, Natura, Patriottismo, Potere, Razzismo, Selfie, Stupro, Videochat, il regista mostra, utilizzando filmati, video, scritte e voci off, che oscena non è la pornografia ma il potere, e che osceni, ancor di più, sono i servi del potere (gli indifferenti che Gramsci odiava).
Parlando, per esempio, di Eminescu (il poeta nazionale rumeno), la voce fuori campo sostiene che per i rumeni lui è la stella del mattino, il vero uomo di cultura, la loro coscienza, l’ultimo grande romantico, ma l’immagine mostra una banconota da 500 lei sulla quale è riprodotto il volto del poeta stesso. È suggestiva la definizione di Cinema di Radu: il Cinema è come lo scudo lucido di Perseo che gli permetteva di guardare la mostruosa Medusa senza tramutarsi in pietra. Il Cinema è lo schermo che ci consente di sopportare la vista degli orrori che non potremmo guardare direttamente. Le parola libertà e servilismo non ci sono perché ampiamente illustrate dal discorso al cellulare che si sente nel corso della passeggiata per Bucarest della professoressa. Un uomo racconta a un interlocutore che “Nel 1986 un dissidente stampò e distribuì 800 volantini contro Ceausescu e tutti e 800 furono consegnati dai cittadini alla Securitate (la polizia segreta)”. Il dizionario comprende oltre 70 voci, è densissimo, e, per fortuna, la visione in streaming (grazie ai tasti pausa e indietro) consente di apprezzarlo come premessa indispensabile all’ultima parte del film.
La terza parte si svolge nel cortile della scuola dove i genitori degli alunni, tutti con regolare mascherina, processano la professoressa. Il video viene mostrato utilizzando un tablet e le reazioni sono le più varie. La protagonista ribadisce di non essere responsabile della pubblicità del filmato e non tollera le critiche al suo comportamento sessuale nell’intimità. Straordinaria la scena in cui la preparatissima professoressa recita una poesia erotica di Eminescu che fa imbestialire alcuni ipocriti genitori, i quali l’accusano di essersi inventata la poesia, mentre lei imperturbabile gli fornisce i riferimenti per reperire il testo. Il cuore del problema, nel quale il regista vuole coinvolgere gli spettatori del film, è la domanda se siano più osceni i cittadini che durante il regime di Ceausescu hanno consegnato i volantini alla polizia o le effusioni private di una professoressa che è un’ottima insegnante.
Nell’epilogo sono previsti tre finali, uno positivo, uno negativo e uno, a sorpresa, horror.
Bad luck banging or looney porn è tre film in uno: un film neorealista, un film documentario concettuale, un film processuale. È un film che più di altri non può essere raccontato ma deve essere visto. Come la professoressa che durante il processo è disposta a perdere la sua credibilità e a dire cose sgradite ai genitori per difendere la propria libertà di pensiero e affermare apertamente il mondo in cui crede, il regista Radu Jude è disposto a correre lo stesso rischio nei confronti di spettatori ai quali le immagini del suo film risulteranno sgradite e nei confronti di molti dei suoi connazionali che lo considereranno, stupidamente, un nemico della patria.
Dal 16 aprile tutti potranno vedere il film sulla piattaforma MIOCINEMA dove si potrà anche assistere a una rassegna retrospettiva di quattro film del regista Radu Jude.