Durante la puntata odierna della trasmissione Agorà in onda su Rai 3 è intervenuto Alberto Bagnai, deputato responsabile all’Economia per la Lega, per parlare del Mes. Il meccanismo di stabilità, infatti, è al centro di parecchie discussioni, e soprattutto polemiche, ormai da diverse settimane, con l’Unione Europa da un lato che spinge affinché venga ratificato e l’Italia, dall’altro lato, che rimanda la discussione. Lo scopo del governo Meloni sul Mes, ribadito dallo stesso Bagnai, infatti, è ridiscuterne i contenuti, al fine di renderlo un mezzo meno austero e che non si traduca, come potrebbe capitare, in uno svantaggio per l’Italia a favore, ovviamente, delle economie europee “più forti”, almeno sulla carta.
Bagnai: “L’Ue non può costringerci a ratificare il Mes”
Insomma, il deputato Bagnai è tornato a parlare del Mes, in un momento in cui sembra che l’Ue voglia giungere ad una qualche conclusione, auspicabilmente (per il Parlamento europeo) la sua ratifica. Secondo il deputato leghista “dire che il Parlamento deve ratificare perché l’Unione Europea lo chiede, significa confessare candidamente che l’UE è un’istituzione allergica alla democrazia. Domandare la ratifica è lecito, rispondere è cortesia. L’accettazione della riforma”, ha sottolineato, “non è né scontata né doverosa”.
Bagnai, continuando il suo intervento sul Mes, ci ha tenuto a sottolineare che “i cittadini italiani hanno votato per questo Parlamento e la loro volontà conta. Le regole europee”, ha precisato, “prevedono per certe decisioni l’unanimità: se la prevedono, vuol dire che prevedono anche un diritto di veto. Vorrei vedere se quando nel 2005 la Francia affossò una cosa molto più importante per gli europeisti, la cosiddetta Costituzione europea, ci furono tanti psicodrammi e tante querimonie. Non me le ricordo. La decisione del popolo francese venne rispettata. Si rispettino anche quelle che prende il popolo italiano”. Non è mancata, poi, anche una stoccata da parte di Bagnai alla sinistra italiana, che vuole l’approvazione del Mes, ma non il ritorno “al vecchio patto di stabilità“, sintomo del fatto che “il testo della riforma non è stato letto”, dato che il nuovo meccanismo di stabilità “conferma i principi dell’austerità, incorporando le vecchie insensate regole del 3% e del 60%“.