Uno scarico del water rumoroso può infastidire tanto da provocare problemi al danneggiato, con gravi conseguenze fisiche e psicologiche? Tale danno comporta il risarcimento con una voce specifica di danno biologico, che non può essere assorbita nel generico danno patrimoniale. È questa la conclusione a cui è giunta la Cassazione sul tema delle immissioni acustiche, con l’ordinanza 24741/2023 dell’agosto scorso. Il Giudice di pace ha condannato una condomina chiamata a cessare le immissioni di rumore intollerabile, provenienti dall’appartamento di sua proprietà.



La proprietaria dell’appartamento era stata obbligata a eseguire gli interventi necessari per eliminare la causa di tali rumori proveniente dal suo bagno e a risarcire il danno. In secondo grado, il Tribunale di Milano aveva riformulato la sentenza e condannato la donna a eseguire le opere indicate dal Ctu respingendo però la domanda della parte danneggiata rivolta al risarcimento del danno biologico e quella diretta al risarcimento del deprezzamento dell’immobile, spiega Il Sole 24 Ore. Alla Suprema Corte, perciò, si è rivolto il danneggiato: la Cassazione ha rinviato a causa il Tribunale che aveva omesso di esaminare le risultanze istruttorie in grado di provare l’esistenza di un danno alla salute.



Liquidazione del danno non patrimoniale

La sentenza, secondo i supremi giudici, non aveva riconosciuto il risarcimento del danno biologico, benché fosse stata accertata l’intollerabilità dei rumori provenienti dall’appartamento superiore e in particolare dal suo impianto idrico sanitario. Così, la condomina è stata condannata alla demolizione e alla ricostruzione del locale bagno sulla base di specifiche indicazioni tecniche. Nella consulenza tecnica medico-legale era stata accertata una menomazione dell’integrità psico-fisica dell’inquilino (quantificando l’invalidità permanente nella misura del 6%), consausata dall’inquinamento acustico.



Per la Cassazione non era dunque condivisibile la mancata liquidazione del danno biologico. Il Tribunale, infatti, negava del tutto l’efficienza causale dell’inquinamento acustico sulle lesioni psico-fisiche riscontrate sul condomino, per il fatto che le stesse non fossero riconducibili esclusivamente alle immissioni rumorose. La Cassazione ha perciò rinviato al giudice di appello il caso per la liquidazione del danno non patrimoniale, per verificarne persistenza ed entità, attraverso l’accertamento dell’esecuzione degli interventi ordinati alla condòmina.