“Tanto tuonò che piovve”, “meglio tardi che mai”, “scusate il ritardo” (per citare il mai troppo compianto Troisi). Questo avrebbero potuto (e forse dovuto) innanzitutto dire i protagonisti della “rinascita di Napoli-Ovest”, altisonante conseguenza della stipula del protocollo di intesa tra Governo e commissario straordinario, giustamente agli onori della cronaca per l’importanza della questione.



In quel di Bagnoli, l’Italsider spegneva il suo ultimo forno il 30 ottobre 1990. 34 anni per la firma di un protocollo di intesa, con lavori che, se tutto va bene, dovrebbero finire nel 2031, avrebbero dovuto indurre a tenere i toni bassi; questo ingiustificabile lasso di tempo è la certificazione che tutta la politica, essendosi avvicendati nell’amministrazione partiti di destra e di sinistra, e le istituzioni, sia centrali che periferiche, non hanno reso un buon servizio alla collettività.



“Finalmente Bagnoli” titolava Il Mattino all’indomani dell’evento. Ci permettiamo di dissentire. Bagnoli, popoloso quartiere di Napoli Ovest, pur avendo vissuto sulla propria pelle in questi decenni scellerati protagonismi e conclamate inettitudini, non si è mai allontanata e non è mai dovuta ritornare. È rimasta sempre lì e i suoi 23mila abitanti hanno avuto l’impagabile merito di “tenere vivo” quello che Ermanno Rea, dopo la fine della “fabbrica del ferro”, aveva definito “un non luogo”; a dispetto dei megaprogetti che negli anni si sono succeduti per la riqualificazione dell’area ex Ilva.



La Città della Scienza, l’Ippodromo, la Base Nato, le Terme di Agnano, bellezze di interesse storico e naturalistico come la Baia di Trentaremi, la Grotta di Seiano e panorami mozzafiato su Capo Miseno, Ischia, Monte di Procida, Procida, hanno fatto sì che gli abitanti del quartiere abbiano potuto continuare a vivere quei luoghi sentendosi parte di una comunità attiva, nonostante le occasioni perse per colpa dell’incapacità della politica e non solo.

Se Bagnoli non coincide con l’ex Ilva, la storia di questa, le sue vestigia (la celeberrima archeologia industriale) e gli ingentissimi danni ambientali causati, sono parte imprescindibile del quartiere. I problemi retaggio dell’insediamento siderurgico sono ad oggi irrisolti, nonostante la valanga di risorse impegnate, accompagnata dalla conseguente “smania” di gestirle per intestarsi, sempre politicamente, i risultati.

Oggi i protagonisti devono necessariamente spendere parole altisonanti: “Stiamo lavorando per ricostruire la speranza” dice il sindaco Manfredi, precisando che non vuole usare toni trionfalistici; ed esprime gratitudine verso il Governo (di parte politica opposta) per la collaborazione, con la presidente del Consiglio che sottolinea il suo “metterci la faccia” e, a sua volta, ringrazia il sindaco per l’atteggiamento fattivo.

Chi rimane fuori, il governatore De Luca, mastica amaro, come è stato plasticamente evidente nella cerimonia della firma del protocollo d’intesa, vedendo già in Manfredi un competitor all’interno del suo stesso partito per le prossime elezioni regionali.

Sarà vera gloria? In tanti hanno già emesso la sentenza e tra questi, come al solito, ci si divide. Da un lato “i certi” che il nuovo passo sia finalmente quello nella direzione giusta perché non legato a irragionevoli radicalismi, dall’altro chi, come l’ex sindaco de Magistris, non esita a parlare, in un video su Instagram, di truffa.

Gli eventi prossimi venturi si incaricheranno di dire chi avrà avuto ragione. Giustamente, come ha ricordato la Meloni, bisogna dare ai nuovi protagonisti “la possibilità di dimostrare che le cose sono cambiate”. I 34 anni trascorsi, però, ci costringono a guardare ciò che sta accadendo con disincanto. Quello ieri varato succede ad altri 5 progetti cantierati e falliti, con uno sperpero inenarrabile di danaro pubblico e risultati trascurabili, se è vero che ad oggi sono necessari ancora 630 milioni su 1,2 miliardi di euro per eseguire una bonifica soltanto parziale. La memoria non mi soccorre, ma non penso che i precedenti artefici di questi progetti fossero meno entusiasti e ottimisti. Il che dovrebbe indurre a mantenere, non foss’altro per una sana scaramanzia, un profilo un po’ più prudente. Anche perché, al di là dei meriti che il sindaco Manfredi si auto-attribuisce e le periodiche classifiche di gradimento, alla prova dei fatti la sua gestione ha lasciato Napoli più o meno immutata. Il suo volto, soprattutto quello del centro, è cambiato soprattutto per il crescente flusso di turisti cui non sono offerti servizi adeguati al contesto. Le opere inaugurate vengono, al pari di Bagnoli, da molto lontano e, quindi, intestarsele risulta essere un tantino fuori luogo.

Tornando a Bagnoli, inoltre, la somma della figura commissariale e quella di sindaco nella medesima persona, se da un lato è opportuna, dall’altro rischia di coinvolgere la prima in “dinamiche” prettamente politiche (rielezioni, se non addirittura un upgrade istituzionale) sicuramente legittime, ma che possono essere poco salutari per la riuscita del programma. La scelta di un profilo basso (quasi rasoterra) da parte del sindaco Manfredi sicuramente si pone in contrapposizione alle guide decisamente più “rumorose” del suo predecessore o del governatore De Luca. Senza risultati concreti, però, non è detto che si passi all’incasso elettorale. Bagnoli, in questo senso, è un impegnativo banco di prova.

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