Cosa succede a Bakhmut? Ci sarà la tanto minacciata offensiva russa a primavera? E come e dove colpirà? Ma più in generale, a che punto è la guerra?
Mentre nessuno parla di pace e nemmeno di un più limitato e raggiungibile “cessate il fuoco”, tanti sono gli interrogativi che le persone dotate ancora di buon senso si pongono. Sono mesi che le notizie, gli annunci, le immagini di distruzione si succedono. Tutti, russi, ucraini, americani, europei di turno parlano, si presentano in tv, affermando di vincere, oppure di resistere o che è necessaria una pace, come fosse semplice. Tutti parlano mentre i protagonisti litigano fra loro. Volodymyr Zelensky con il comandante delle forze armate, Valerij Zaluzhnyi, il signore della guerra russo Evgenij Prigožin che accusa i generali di non rifornirlo di munizioni a sufficienza. Il New York Times che afferma che l’attacco al Nord Stream 2 è avvenuto ad opera di fantomatici volontari sub ucraini imbarcati sulla barca a vela “Andromeda” presa a noleggio; i russi che dicono che al confine con la Polonia ci sono in una miniera fosse comuni di soldati ucraini. E la guerra in attesa sempre di nuove armi risolutive, super bombe, missili ipersonici, carri armati di ultima generazione e così via.
Vero, falso, propaganda, fatti, desideri, fantasie e realtà. Tutto si confonde in un frullato incomprensibile. Infotainment. Questo è il neologismo orribile di origine inglese che descrive l’attuale stato dell’informazione, informazione più intrattenimento, miscuglio di generi per scalfire la soglia di attenzione della distratta opinione pubblica, con il risultato che non si capisce più dove finisce il gioco e arriva la notizia, sovrapposizione di narrazione alla realtà, senza un senso logico. E infatti sarebbe meglio coniare un nuovo termine proptainment, “intrattenimento propaganda”, facendo sparire del tutto la parola informazione tanta è la falsità sotto il sole. A quel che ci risulta solo un gruppo di giornalisti, tra cui Toni Capuozzo, si è ribellato a questo poco strano andamento della stampa nostrana, con una lettera aperta sul quotidiano online Africa ExPress.
Allora non ci resta che partire dai fatti, dai più semplici, accessibili anche ai non esperti, anche a noi comuni mortali. Procediamo per gradi, per approssimazioni successive, per cercare di capire a che punto è la guerra, senza predire niente, cercando di delimitare però una cornice generale che possa contenere gli eventi futuri.
Primo punto. Sono stati usati molti aggettivi per definire la guerra di aggressione della Russia all’Ucraina. Guerra limitata, simmetrica, globale, multi livello, per procura. Soffermiamoci sull’aggettivo “simmetrico”. Se ci concentriamo sulla natura istituzionale dei contendenti, la simmetria è innegabile: due Stati sovrani si stanno affrontando attraverso due eserciti regolari. Non siamo davanti alle guerre tra rivoluzionari-insorgenti-partigiani contro truppe straniere di occupazione, come nel caso degli americani in Vietnam, dei sovietici contro i mujaheddin o delle truppe Nato contro i talebani sempre in Afghanistan.
Ma se invece andiamo a confrontare le forze in campo, è evidente il contrario, cogliamo cioè un’asimmetria completa tra i due contendenti. La Russia infatti è la prima potenza nucleare al mondo con 5.977 testate, 143 milioni di abitanti contro i circa 46 milioni e 700mila di Kiev, un estensione geografica incomparabile a cui si aggiunge una sproporzionata potenza economica e industriale.
Tutti elementi che riportati sul piano militare si traducono in una maggiore potenza, tanto più che i combattimenti e le distruzioni avvengono entro i confini ucraini. Secondo lo stato maggiore ucraino, per esempio, il numero delle perdite russe a Bakhmut è stimato sugli ottocento tra morti e feriti al giorno mentre per l’esercito ucraino ammonterebbero a duecento; facendo una media, abbiamo quattrocento uomini per parte, ma dimezziamo pure la cifra, arriviamo così a 200 perdite al giorno. 42mila morti o feriti in totale! Un numero impressionante, visto che l’assedio in quella città dura da sette mesi. Ovviamente i conti non tornano, perché invece per la Bbc le perdite russe in un anno ammonterebbero a 16.071 contro i 15mila caduti sovietici in Afghanistan tra il 1979 e il 1989, mentre per un sito di opposizione russo ormai le vittime russe sarebbero ben 144.500, tra morti, feriti e dispersi.
Comunque siano i numeri, il peso dei morti non è uguale per le due parti e per due motivi: nel dicembre 2022 il Governo russo ha annunciato di disporre di più di un milione di uomini impegnati nelle forze armate che nel 2023 raggiungerà il milione e mezzo, a cui vanno aggiunti 50mila uomini delle milizie private che stanno combattendo in Ucraina (fonti Cia). Sempre la stessa fonte riferisce per l’Ucraina una forza armata di circa un milione di uomini arrivata adesso a un milione e 300mila. Secondo un altro indice, il Global Firepower Ranking che confronta sessanta parametri per misurare la potenza militare di un Paese, le forze armate russe in una classifica mondiale stanno al secondo posto mentre quelle ucraine al quindicesimo. Per il The Military Balance, a cura del prestigioso Istituto internazionale per gli studi strategici di Londra, nel 2021 l’Ucraina ha destinato alle spese militari 4,7 miliardi di dollari, contro i 45,8 miliardi stanziati da Mosca. Da queste cifre si evince che i numeri delle perdite hanno un peso diverso per Mosca o per Kiev, tanto più che come ora nella battaglia di Bakhmut a morire da una parte sono dei mercenari ed ex galeotti e dall’altra invece dei giovani ucraini magari anche appartenenti ai migliori reparti.
In secondo luogo, l’ asimmetria è evidente se prendiamo in considerazione i sistemi d’arma a disposizione dei due eserciti. Qui il confronto è complicato: se i mezzi forniti dall’Occidente all’Ucraina sono superiori a quelli russi ed ex sovietici, è anche vero che ormai le forze armate di Kiev presentano una collezione, un campionario delle armi occidentali che vanno ad affiancarsi all’eredità ex sovietica producendo tre risultati. Il primo, una capacità di combattimento imprevista; il secondo, una gestione logistica problematica di tale patchwork per quanto riguarda munizioni, pezzi di ricambio e addestramento; infine, una dipendenza, che va aumentando sempre di più nel corso della guerra, dall’Occidente e in primis dagli Stati Uniti.
In terzo luogo, lo stato interno dei due Paesi. In Occidente siamo soliti guardare agli effetti delle sanzioni sull’economia russa, sulla produzione ed esportazione di gas e petrolio, sul Pil, sulla bilancia dei pagamenti, sull’importazioni hi-tech a partire dai microchip – pezzi fondamentali per le armi – sui beni sequestrati agli oligarchi e così via. Ma poco o niente si dice degli effetti della guerra sull’Ucraina. In Europa vi sono, secondo dati dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), qualcosa come 8 milioni di profughi, 5 milioni, ma forse di più, di rifugiati interni; 17 milioni di persone che hanno bisogno di un aiuto umanitario urgente a casa loro. Siamo davanti cioè ad una catastrofe umanitaria che coinvolge 30 milioni di ucraini su 46! Cifre che fanno spavento. Non basta. L’economia è al collasso: la produzione di acciaio è crollata, così la produzione di cereali, le due merci principali destinate all’esportazione; il Pil è diminuito di un terzo, la Hryvnia (moneta ucraina) si è deprezzata, i porti semichiusi, in pratica l’Ucraina vive con gli aiuti e prestiti dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti e dal Fmi (dai 14 ai 16 miliardi di dollari). Secondo un report della Banca Mondiale e dell’Ue la ricostruzione avrà un costo di 349 miliardi di dollari (per chi è interessato, da guardare anche i report del Kiel Insitute for the World Economy).
Tirando le somme, queste le conseguenze. In pratica in Ucraina vi sono due economie, una tradizionale che vende e compra merci tradizionali e l’altra che acquista la guerra dell’Occidente. Questo significa che il Paese è totalmente dipendente sia per quanto riguarda il rifornimento di armi che per la tenuta economica dai Paesi Nato. In Ucraina vi sono due forze che sono costrette ad essere inversamente proporzionali: una è costituita dalle risorse interne ucraine, che sono segnate da un deterioramento continuo e progressivo, inesorabile, bilanciate – e questa è l’altra forza – dal sostegno ottenuto dai Paesi dell’Alleanza Atlantica. Più la guerra va avanti e più l’Ucraina ha bisogno del sostegno della Nato, e più ne diventa dipendente.
Questo vuol dire che la guerra è cambiata, perché il centro di gravità ucraino adesso risiede fuori dal Paese, è in mani straniere e che forse il termine “aiuti” ormai è improprio, stante il fatto che abbiamo delle forze armate dove i soldati sul terreno sono ucraini ma pagati e riforniti in toto da paesi Nato, in primo luogo Usa. Significa insomma che la “volontà”, il centro decisionale della guerra ucraina non sta nelle mani di Zelensky; che se Washington tira il freno, le forze armate ucraine si fermano.
Sul piano militare, la Russia, colta di sorpresa dalla fortissima resistenza ucraina supportata dalla Nato, ha reagito con una strategia adeguata alla sue capacità, dottrina e mentalità. Disponendo di volontà, tempo, uomini e mezzi ha potuto rimediare ai madornali errori iniziali (il mancato putch a Kiev, la chiusura del fronte meridionale con la fuga dall’Isola dei Serpenti). Ed ha risposto con una guerra d’attrito, con decime di migliaia di colpi di artiglieria, prendendo di mira le infrastrutture e colpendo fino alla saturazione di fuoco gli obiettivi, facendo esaurire le scorte nei depositi di munizioni Nato, mandando avanti la sua legione straniera, mercenari e ceceni. In attesa che arrivino al fronte gli uomini richiamati e addestrati, in attesa che l’esercito ucraino dimostri segni di cedimento, in attesa che il fronte occidentale si incrini, in attesa che si secchi il fango del disgelo.
Questo è il quadro della battaglia di Bakhmut, nodo simbolico della guerra, dove si stanno affrontando le truppe di Kiev a difendere l’onore e ad alzare il prezzo con la Russia e con gli alleati; non a ritardare un futuro attacco di primavera, perché i soldati ucraini non stanno resistendo all’esercito russo ma al nuovo signore della guerra Prigožin a capo dei soldati della Wagner.
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