Oggi e domani si aprono nuovamente le urne per i ballottaggi delle elezioni amministrative. Il 14 e il 15 maggio scorso sono andati al voto 595 comuni, ma in 41 non è stata raggiunta la maggioranza richiesta e quindi, da stamattina si passa al secondo turno, cioè al ballottaggio tra i due candidati che hanno raggiunto il maggior numero di consensi senza però superare la maggioranza dei voti espressi. A una prima valutazione, la sfida vera di queste amministrative sta nel ballottaggio di sette capoluoghi di provincia, cioè di Ancona, Pisa, Siena, Massa, Vicenza, Brindisi e Terni. Quindi un voto con un discreto significato politico su base geografica.
Che diventa più interessante considerando che contemporaneamente si voterà per il primo turno anche in 128 comuni della Sicilia e in 39 della Sardegna. Si deve precisare che in Sicilia il primo turno di queste amministrative riguarda anche quattro capoluoghi di provincia: Catania, Ragusa, Siracusa e Trapani. Quindi un ulteriore significato politico.
In epoca di astensionismo dilagante (41 per cento al primo turno del 14 e 15 maggio) è doveroso ricordare che tra ballottaggi e nuovi votanti nelle due grandi isole saranno coinvolti di diritto un milione e 340mila 688 elettori. Lo si vuole specificare per verificare se il tasso di disaffezione e la diserzione dalle urne registrerà ancora un altro aumento, in elezioni amministrative, oppure si potrà registrare, dopo lungo tempo, un segnale in controtendenza.
Potrebbe apparire strano che una tornata elettorale amministrativa di questa portata rivesta un’importanza inconsueta. Ma l’incertezza che attraversa il Paese, il quadro complessivo della scontro tra il destra-centro e l’opposizione ha assunto nel mese di maggio una radicalizzazione ancora maggiore di quella che si poteva cogliere nei primi sei mesi del governo presieduto da Giorgia Meloni.
In questi ultimi dodici anni, e in generale nella cosiddetta “seconda repubblica”, si è quasi sempre assistito a degli exploit improvvisati dei partiti. Un sequenza continua di “alti e bassi”, di trionfi e successive delusioni.
C’è stato il picco raggiunto da Matteo Renzi, allora segretario del Pd, alle elezioni europee del 14 maggio 2014: ben il 40,8 per cento. Poi c’è stato il boom del M5s e il primo governo di Giuseppe Conte, il 1 giugno 2018. Anche la Lega di Matteo Salvini realizzò un exploit che lasciò tutti di stucco alle elezioni europee del 2019, raggiungendo il 34,3 per cento dei suffragi. Ripetiamo: un’altalena di vittorie e sconfitte che offre un’immagine di instabilità mai raggiunta in Italia (nonostante i paragoni a casaccio con la prima repubblica), con governi tecnici che devono alla fine intervenire per risolvere situazioni che paiono insanabili.
È con le ultime elezioni politiche del settembre 2022, che si forma la maggioranza di centrodestra attuale e che offre subito l’impressione di una certa compattezza e in più accetta la sfida di un centrosinistra che prefigura un cosiddetto “campo largo”.
Gli esperti in sondaggi non assicurano subito la fine degli “alti e bassi” delle nuove forze politiche italiane. E anche nell’opinione pubblica del Paese, il personaggio più apprezzato resta per molto tempo Mario Draghi, l’ex presidente della Bce, diventato presidente del Consiglio dopo il secondo esperimento di Conte.
Ma qualche cosa non corrisponde alle previsioni e ci sono i primi ripensamenti. Per mesi si moltiplicano schermaglie su dichiarazioni di alcuni personaggi della destra, dibattiti su fascismo e antifascismo, riflessioni sulla Costituzione, senza contare la collocazione della destra italiana in campo europeo.
Ma i dibattiti e le manifestazioni non sembrano appassionare molto l’opinione pubblica. Alla fine l’accusa di postfascismo appare poco creduta. E in più esiste una frantumazione tra le forze di opposizione che diventa un sintomo di debolezza.
Alla segreteria del Pd arriva con un colpo a sorpresa Elly Schlein, che batte Stefano Bonaccini e sposta a sinistra l’asse del Pd, provocando reazioni e qualche fuoriuscita di militanti e di dirigenti dichiaratamente riformisti. In piè c’è il M5s che perde credibilità e voti e non riesce a stipulare un patto di alleanza con il Pd. Poi ci sono Matteo Renzi e Carlo Calenda: dovrebbero costituire il perno di un’opposizione riformista, ma non vanno d’accordo tra loro. Si dichiarano incompatibili con il M5s e prendono anche le distanze dalla segreteria Schlein.
Di fatto si crea un’opposizione frammentata e litigiosa che guarda invece nervosamente i passi internazionali e persino l’europeismo di Giorgia Meloni.
È probabilmente questa frammentazione a sinistra, o nell’opposizione in generale, che spinge Elly Schlein quasi a defilarsi su molti aspetti del dibattito in corso e a prepararsi a uno scontro in tempi lunghi, verosimilmente le elezioni europee del 2024, cercando di rifondare probabilmente un Pd caratterizzato più a sinistra, più alternativo.
È evidente che in tutto questo Elly Schlein spera a in qualche scivolata della Meloni e della destra. In più, osserva con attenzione tutte le contraddizioni che emergono nella società italiana.
C’è stato in primo luogo il ritorno a una destra contestata duramente da sinistra. E si prefigura una contrapposizione tra due culture contrapposte. Poi lo sconquasso nella Rai, con le dimissioni di Fazio, di Lucia Annunziata e un’aria di grande ricambio che favorirebbe la destra. Tutto questo in una ripresa delle tematiche ambientali che si aggravano soprattutto con le contestazioni dei giovani di “Nuova generazione”. La segreteria del Pd è attenta a tutte queste vicende. Tuttavia deve constatare che la tragedia dell’alluvione in Emilia-Romagna non sembra mettere in crisi, fino a questo momento, il governo in carica.
Insomma c’è una lotta di sordo e duro logoramento tra la leader del Governo e quella di opposizione che non è mascherata, ma che è giocata da lontano, tra diversi “spettatori interessati” che aspettano il primo passo falso dell’una o dell’altra leader.
È per questa ragione che, di fatto, lo scontro è più duro che mai e anche una consultazione elettorale limitata come questa assume una rilevanza che in passato non avrebbe avuto.
Dopo il primo turno, finito nei capoluoghi 4 a 2 per il centrodestra, ci si è limitati a dire di “aspettare” i ballottaggi. È probabile che un risultato più netto a favore dell’una o dell’altra faccia aumentare una radicalizzazione già in atto.
Tutto questo porta a valutare alcuni significati: oggi i contendenti si giocano una lunga partita fino alle europee del 2024. Ma la sensazione è che anche una una consultazione elettorale limitata possa incidere sul futuro politico del Paese.
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