La scomposizione di quella che era l’idea di un grande partito riformista con radici nella sinistra storica ed il cuore al centro è ormai compiuta. Elly Schlein sta portando il Pd sempre più verso il modello dalemiano dei Ds. Un partito con una posizione massimalista e le radici profonde nella storia della sinistra e che dialoga con gli “altri” solo alla bisogna.



La tattica funzionò soprattutto a livello locale, dove il radicamento della sinistra consentiva di andare ai ballottaggi con il centrodestra e poi aggregare le forze al secondo turno. Spesso senza nemmeno apparentarsi formalmente, i Ds riuscirono a conquistare tante città fidando sul fatto di essere la forza aggregante di maggior peso alternativa al centrodestra.



Quella stagione mostrò il suo limite quando si trattò di conquistare il governo. Il Paese non era pronto, e mai lo è stato in realtà, a premiare una coalizione guidata da un esponente dichiaratamente di sinistra. Solo Prodi ha conquistato il governo con il voto, gli altri premier ex Ds, e Pd poi, sono approdati a Palazzo Chigi solo grazie ad accordi post voto, aggregando ciò che dopo le elezioni si era scomposto.

Ma ora lo scenario è diverso. La vittoria della Meloni, con il suo carattere fortemente identitario, dichiaratemene di destra, ha convinto Elly ed i suoi che si può guadagnare il consenso rimanendo fedeli ad un’impostazione fortemente identitaria, avendo la pazienza di attendere che gli avversari siano travolti dalle crisi, inevitabili, che il governo di un Paese complesso come l’Italia comporta.



Non c’è perciò da meravigliarsi che in questa tornata elettorale al centrodestra si siano contrapposte più opposizioni, spesso slegate tra loro, avversarie quasi, in alcuni casi dilaniate al loro interno. Insomma non si è visto nessun campo largo, neppure un campetto abbozzato. Con i 5 Stelle in crisi dopo le stagioni che li avevano portati a guidare Roma e Torino e tanti altri comuni e che orami sono inesorabilmente sempre più fenomeno locale, se non addirittura localistico. Conte si è speso il giusto ma sa che la vera partita, per lui, è tra un anno e poca attenzione ha avuto per la classe dirigente locale, smarcandosi dal Pd a livello nazionale, come sulla vicenda Rai, dove ha giocato una partita di sponda alla maggioranza.

Definitivamente chiusa la parabola del duo Renzi-Calenda. I due pretendenti dioscuri sono diventai fratelli coltelli, ignorando ogni avvertimento che molti avevano lanciato. La loro definitiva spaccatura è condita da un’inesorabile deriva intellettualistica. Cercare un partito liberale di massa, inneggiare a Rosselli, invocare il “saper fare” e poi non riuscire a non accoltellarsi sfociando in una rissa tra capponi in pubblico dice tanto ad un elettorato potenziale che li vede oramai come due inutilizzabili egotici che nulla hanno “di centro”. La capacità di costruire ponti, di dialogare e portare avanti valori popolari e condivisi è una cosa che i due non sanno fare ma che è l’unica cosa che interessa all’elettorato moderato che vuole garanzie di serietà anche nei modi e nelle forme, oltre che nei contenuti.

Questa loro assenza orami non più rimediabile in prospettiva è un danno per tutta l’opposizione e per il Pd. Non avere un interlocutore autorevole e solido al centro rischia di vanificare la possibile riuscita della strategia di Elly. Se l’elettorato moderato non è “tranquillizzato” da alleati credibili, il Pd non ha gli strumenti politici per divenire da solo maggioranza e rischia un lungo cammino di opposizione non solo nel governo del Paese, ma anche nei comuni e nelle regioni. Dopo il disastro lombardo, con le regionali regalate senza neppure combattere e le scelte egotiche fatte nella competizione per la regione Lazio, con i 5 Stelle incapaci di fare sintesi con il Pd, il centrodestra è quasi condannato a governare.

Questi pezzi di opposizione che non riescono trovare sintesi neppure per guidare qualche comune più grande mostrano un limite ancor maggiore: l’incapacità a farsi alternativa di governo, con il rischio che se arrivasse una crisi la partita per il governo rimarrebbe tutta nel centrodestra. Su questo Elly deve iniziare a riflettere se vuol essere capace di governare. Usare la strategia del “solve et coagula” di Langer, ovvero costruire un progetto politico che abbia vita solo in precisi momenti elettorali e politici, presuppone una sensibilità ed una visione che oggi appare del tutto assente.

Sembra che i leader dell’opposizione siano più impegnati, anche a livello locale, a posizionarsi ed a radicalizzare le loro posizioni l’uno contro l’altra piuttosto che a costruire. E se in alcuni contesti ci si può aggrappare a leader locali più carismatici come a Brescia o Vicenza, per conquistare la leadership delle regioni e del governo nazionale serve altro. Non inseguire la tattica dei vecchi Ds. Quel tempo è passato. Purtroppo, o per fortuna.

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