In Senato la Lega ha ritirato l’emendamento con il quale proponeva di non dare corso al ballottaggio quando un candidato alle elezioni amministrative nei comuni sopra i 15mila abitanti abbia raggiunto al primo turno il 40% dei voti. La Lega ha trasformato l’emendamento in ordine del giorno, non abbandonando ma rinviando la questione, molto rilevante sotto il profilo politico per le elezioni amministrative.



Il principio va approfondito perché il numero dei votanti, soprattutto alle elezioni amministrative, è in costante diminuzione e – soprattutto per il turno di ballottaggio – è ormai consuetudine che vada a votare molto meno del 50% del corpo elettorale. Questo significa che alla fine, spesso, un sindaco è eletto con poco più del 20% di preferenze del corpo elettorale chiamato al voto e quindi scarsamente rappresentativo, anche se “chi non vota ha sempre torto”. Soprattutto, molto spesso, viene eletto un candidato al ballottaggio con meno voti finali di quelli raccolti dal candidato che aveva vinto al primo turno ed è su questo aspetto che credo andrebbe approfondita un’analisi sulla equità del risultato.



Al primo turno, infatti, si vota di più, perché spesso le elezioni comunali sono abbinate ad una elezione-traino (quest’anno, per esempio, avverrà con le europee e il voto in alcune regioni) visto che solo successivamente alla legge maggioritaria del 1993 è stato introdotto “l’election day” e quindi vi è più interesse alla competizione elettorale. Al secondo turno di ballottaggio, invece, il richiamo è sempre molto minore, non rientrano elettori fuori sede o all’estero che quindi si astengono dal votare, pochi comuni sono interessati al voto con conseguente minor copertura mediatica e le urne vengono sempre disertate da molti degli elettori che al primo turno avevano votato per un altro candidato rimasto escluso al ballottaggio.



La legge aveva previsto che nei 15 giorni intercorrenti tra i due turni elettorali si sarebbe ricorso agli “apparentamenti” e quindi che i candidati sconfitti al primo turno si sarebbero facilmente collegati con uno dei due promossi al secondo turno. Nella gestione pratica della legge (non è casuale il detto “fatta la legge trovato l’inganno”) e nel corso degli anni, però, gli “apparentamenti” sono progressivamente spariti, perché i potenziali aspiranti vincitori (ma spesso entrambi i contendenti al secondo turno) hanno scoperto il trucco di come sia molto più utile accordarsi con altri candidati esclusi anche pubblicamente ma non formalmente, così che alla fine il vincitore potrà essere eletto anche con i voti dei “non apparentati” e godendo dei seggi assegnati dal premio di maggioranza, cui si aggiungeranno anche i seggi dell’“apparentato informale”, forte così, complessivamente, di una maggioranza più ampia e riducendo i seggi degli oppositori. Una furbata, cui però si ricorre spesso, ed alla quale occorrerebbe dare un freno per non snaturare il concetto stesso di doppio turno e di rapporto equo maggioranza/minoranza.

Una proposta molto più equa – e che raccoglierebbe anche parte di quella leghista – sarebbe di procedere come oggi al turno di ballottaggio nel caso in cui nessun candidato raggiunga il 50% dei voti al primo turno; ma se il vincitore al secondo turno fosse diverso da quello più votato al primo turno, conterebbero allora i voti effettivi, ovvero verrebbe dichiarato eletto il candidato al primo turno se in termini assoluti avesse comunque raccolto più voti del vincitore del secondo turno.

Questa possibilità avrebbe un altro vantaggio, quello di evitare la frammentazione degli schieramenti e le conseguenti schede-lenzuolo, perché spingerebbe molti candidati minori a non giocare in proprio, ma a convergere da subito su un unico candidato, avendo così più possibilità di essere eletti “almeno” consiglieri comunali, potendo partecipare alla maggioranza che – grazie al premio in seggi – avrebbe il vantaggio di rendere necessari meno voti alle liste “piccole” per essere presenti in consiglio. Questo garantirebbe anche una effettiva opposizione, invece che cambiamenti di schieramento post-voto a cui siamo ormai abituati.

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