La sfida da decenni è sempre la stessa. Togliere carne da macello alla camorra. Mettere al sicuro il futuro di un’intera città, di un grande territorio urbano come Napoli lo si può fare solo investendo nelle generazioni che verranno. Ogni volta che il tema viene fuori è come una sciabolata allo stomaco. Stavolta ci ha pensato il procuratore Gratteri a rimettere al centro il tema.
Lui che di camorra e criminalità organizzata ne sa davvero, si mette in scia di tanti magistrati che da decenni raccontano la stessa storia. Le famiglie di camorra crescono e si nutrono di abbandono scolastico e fuoriuscita dal sistema educativo. Di figli cresciuti nel mito di genitori morti uccisi o parenti carcerati e ai quali si insegna che il valore della carcerazione è enorme, una università necessaria per diventare uomini.
In tanti stanno combattendo la battaglia. Dal magistrato Gratteri ad un altro magistrato, Catello Maresca, che si dedica da anni ad un’incessante opera di diffusione della legalità nelle scuole tra i ragazzi e che da poco ha lanciato una giornata cittadina contro la camorra, l’11 ottobre, che il comune di Napoli patrocinerà ogni anno su sia iniziativa. Per poi passare al deputato Francesco Borrelli, che lotta da anni contro il malcostume della criminalità, invocando una nuova cultura della legalità e proponendo di togliere la patria potestà ai genitori che insegnano e praticano la camorra come stile di vita.
È gente che vive sotto scorta e che si prodiga per dare alla città un futuro diverso anche se su opposti lati politici. Eppure tutto questo attivismo, che a onor del vero è una novità per la città di Napoli, ancora non trova accoglienza laddove dovrebbe. Sembra che il tema sia distante da troppi cittadini e dai centri decisionali che contano. Manca una cultura maggioritaria della legalità nella società civile (spesso spaventata, a volte connivente) e mancano norme specifiche per rompere la natura ereditaria della cultura camorristica imponendo percorsi di rieducazione e monitoraggio costanti. Mancano investimenti in educatori dedicati a queste emergenze, mancano asili, scuole aperte a tempo pieno e aree da dedicare allo sport ed alla cultura con cui dare ai ragazzi a rischio spazio e occasioni di sviluppo di una propria autonoma e libera coscienza che non sia ostaggio delle logiche della malavita.
Questo anche dovrà fare il PNRR, e questo ancora manca. Manca anche il coraggio di dire che quella criminale è una sottocultura involontaria. Non è una scelta obbligata di gente che muore di fame e non sa come sbarcare il lunario, ma una scelta voluta e ricercata, una lotta allo Stato ed alle sue regole che si nutre di soldati, mogli accondiscendenti, figli abbandonati a questa logica e che servono da nuove leve.
Non siamo più ai tempi della fame atavica nei quartieri popolari. Neppure alla segregazione culturale di zone escluse dalla conoscenza. Anzi. La cultura criminale si esibisce e si mostra. Si celebra sui social, si nutre di ostentata cafonalissima ricchezza da accatto fatta di bottiglie da mille euro, supercar a noleggio, abiti ed orologi. Tutto per dimostrare che si è ricchi e per dare ai loro ragazzi un esempio: andate avanti così. Sono un ceto sociale e culturale che vuole vincere ed imporsi, non un pezzo di società emarginata. Vivono appieno la modernità e si insinuano nella società civile usandola e facendosi usare.
Un vero cancro, per essere chiari. Che ha le sue metastasi nella generalizzata assenza di attenzione per la scuola e l’educazione e per la voluta guerra contro chi cerca di farli cambiare. Da lontano appaiono folkloristici e buffi, loro ed i loro bambini acchitati in abiti dorati in comunioni e cerimonie, che fanno il verso al peggiore kitch di Scarface. Ma sono in realtà quei genitori dei voluti educatori devianti. Che vogliono per i loro figli una vita fatta di quelle cose.
E sanno pure che le alternative ci sono. Ormai da un decennio la nostra vita è un continuo osservare le vite degli altri e noi, come loro, sappiamo che il mondo non è tutto uguale all’angolo sotto casa o al quartiere in cui sei nato. Crescere da criminale è un tragico destino che tocca ai ragazzini abbandonati di cui parla Gratteri e di cui non ci facciamo carico. Ma è anche frutto di omissioni collettive e scelte educative lasciate a genitori devianti. Ci siamo voluti convincere che serva a poco intervenire e che, in fondo, sono i genitori a dover decidere per loro. Quasi “rispettando” quelle devianze.
Ma non può essere così. Se vogliamo provare ad avere un futuro diverso che metta la camorra, la mafia e la criminalità deviante sui libri di storia e non in cronaca, serve di più. Lo diceva anche il grande Eduardo, che ai ragazzi di Nisida dedicò tante energie. Erano gli anni 80 e già diceva che solo salvando i ragazzi si salvava la città. Aveva ragione lui. Ed oggi ha ragione chi lotta per diffondere legalità e cultura con il proprio esempio e la propria dedizione. Manca solo che ci si metta tutti assieme, tra chi ha buona volontà, per questo enorme sforzo e lo si traduca in leggi, denari e cultura. Per dare a Gratteri una risposta, e non attendere altri quarant’anni. Le premesse potrebbero esserci, serve solo trovare un’alleanza trasversale che agisca per questo enorme, storico, eccezionale obiettivo.
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