Quando accade qualcosa, soprattutto qualcosa di brutto, c’è una domanda che rimbalza: di chi è la responsabilità? Due anni fa, al tempo della tempesta di Vaia, ad interrogare l’Italia fu la lettera di un bambino: “Ho nove anni, abito a Mira, mi piace molto andare in montagna, siccome mi dispiace per quello che è accaduto vorrei rivedere montagne coi boschi perché da grande mi piacerebbe entrare nel corpo forestale. Vi dono un aiuto con i miei risparmi”.



La lettera, con cinque euro in allegato, è protocollata nel comune di Rocca Pietore. Achille, è il nome del bambino, commosse l’Italia: non aveva “rotto” lui gli alberi, ma quegli alberi caduti lo rendevano triste. Iniziò a combattere quella tristezza con i suoi risparmi: “Non è solo per quello che facciamo che siamo ritenuti responsabili, ma anche per quello che non facciamo” (Molière). Detto e fatto.



“E chi rompe paga!” avranno insegnato a casa i genitori di quel bambino di Trieste, autore nei giorni scorsi, di un bigliettino che ha fatto il giro del web. Una partitella di calcio tra amici, tre calci al pallone, un vaso che, colpito, salta per aria: una pianta spezzata. Nessuna omissione di soccorso bensì la piena assunzione delle sue responsabilità: “Buongiorno, mi scusi per la pianta: l’ho colpita accidentalmente con un pallone da calcio. Ecco 5 euro per il danno”.

“Accidentalmente” è avverbio di casualità, di non–cattiveria, dice il rammarico per il gesto arrecato: potrebbe bastare il dispiacere, sarebbe già una lezione da capogiro per della gente abituata a disinteressarsi del male causato. Il suo, invece, è un dispiacere responsabile: ancora 5 euro come nei giorni della tempesta Vaia, ancora un bambino come protagonista, ancora la nostalgia della responsabilità, del bene di tutti. Il dolore per il gesto firmato, accidentalmente o volontariamente, sembra non bastare al cuore bambino: occorre altro, di più, un surplus di arditezza. Manco le scuse gli paiono sufficienti: è necessario fare il proprio dovere, quello di essere gente responsabile, non per ricevere un grazie ma per principio: perché il bene, fatto bene, è cagione di umanizzazione. È un gesto sovversivo: “Ognuno è responsabile di tutti – è Antoine de Saint–Exupéry –. Ognuno da solo è responsabile di tutti. Ognuno è l’unico responsabile di tutti”.



Guardare il mondo con gli occhi di un bambino non dev’essere una grande consolazione: lo si vede per quello che potrebbe diventare, lo si soffre vedendolo diverso da come potrebbe in realtà essere. La scelta è sempre tra la maledizione dell’oscurità e la voglia di accendere una candela. Cambierà tutto.

Il gesto di un bambino può rimanere un’eccezione, seppur splendida. Due bambini, però, sono già un esercito in fase di allestimento: tre bambini (ci sono!) fanno una consuetudine: il bene, quando qualcuno lo propone in diretta, arreca una forte nostalgia, è motivo di ripensamento, diventa specchio. È promemoria: che tutte le cose belle che avevamo scordato un giorno ritornano, inarrestabili. Non importa se c’è già in giro chi sostiene che il biglietto sia tutta una farsa, ideato a fin di pubblicità: c’è anche gente che ha paura del bene fatto perché si sente in dovere di provarci pure lei. Fatto è che, nella tendenza di dire “Sono il diretto responsabile delle mie scelte”, un bambino ricorda a tutti che ognuno è responsabile di tutto, davanti a tutti. Molto più di cinque euro.