Il 22 maggio del 2013 l’allora Presidente della Federal Reserve Ben Bernanke, di fronte ai parlamentari, parlò per la prima volta di “taper tantrum”, cioè dell’intento di metter sotto controllo l’eccesso di liquidità che esponeva il mercato al “capriccio”, cioè il tantrum, da reprimere con una paziente potatura, il tapering, da parte della banca centrale. L’intento di Bernanke era di riportare il mercato in condizioni di normalità drenando la liquidità immessa per fronteggiare la crisi del 2008/09 culminata nel crack di Lehman Brothers.



Ma l’operazione, pur così ragionevole, venne abbandonata dopo poche settimane, sufficienti però a provocare non solo una brusca caduta di Wall Street, ma anche seri problemi ai Paesi più esposti al debito in dollari. E Bernanke, consapevole della fragilità dei mercati ancora in convalescenza, ordinò di far marcia indietro. La banca centrale tornò a far da bancomat del mercato azionario (la cosiddetta Fed put) e l’anno si chiuse con uno spettacolare +34,2% per l’indice S&P 500 per la gioia dei ricchi, destinati a diventare sempre più ricchi negli anni a seguire. 



Andrà così anche stavolta? All’inizio di giugno la Federal Reserve ha avviato l’operazione di taglio del bilancio della banca centrale, cresciuto fino a 9 mila miliardi di dollari (quattro volte i valori di nove anni fa), un mare di liquidità in cui annega l’economia investita dal carovita, con effetti ben superiori alle tensioni di nove anni fa. Nelle sue ultime uscite, il Presidente della Fed Jerome Powell ha messo in evidenza che oggi un lavoratore può scegliere tra due posti di lavoro vacanti, una disparità che tende ad accentuare la spinta inflazionistica. Per questo la banca centrale sperava in un aumento delle persone che si mettono alla ricerca del lavoro che avrebbe aiutato a colmare lo sproporzionato divario di oggi, con una moderazione della spinta salariale che darebbe alla banca centrale lo spazio per rallentare o fermare la stretta creditizia.



Ma le cose non sono andate così. L’US Bureau of Labor Statistics (BLS) ha comunicato che, nel mese di maggio, nei settori non agricoli, si è registrato un aumento di 390 mila nuovi posti di lavoro, dato migliore rispetto alle attese del consensus (+320 mila nuovi impieghi). Il tasso di disoccupazione rimane invariato al 3,6% (aspettative al 3,5%). Di fronte a questi numeri la Fed reagirà aumentando i tassi. Di quanto? Tre rialzi da mezzo punto più due da 0,25% entro la fine dell’anno. È l’opinione di Mary Daly, la colomba della Fed di San Francisco, ex cameriera autodidatta che è senz’altro sensibile alle richieste del mondo del lavoro. Figuratevi gli altri. 

Ma è qui che si verificano le previsioni che non ti aspetti. A temere la concentrazione tra aumento dei tassi, tagli del bilancio al bilancio della Fed e, non meno importante, ricadute della guerra in Ucraina sull’inflazione, sono i grandi nomi del business. Reuters riferisce di una mail che Elon Musk ha mandato ai dirigenti di Tesla: “Sospendere tutte le assunzioni in tutto il mondo”. L’amministratore delegato spiega nel testo di essere diventato molto pessimista sulle prospettive economiche. L’allarme dell’uomo più ricco del mondo assume un sapore particolare perché cade immediatamente dopo segnali simili in arrivo da Jamie Dimon, Ceo di JP Morgan, e da John Waldron, presidente di Goldman Sachs. “Questo è fra i più complicati e dinamici, fra forse il più complicato e dinamico ambiente di investimento che abbia mai visto nella mia carriera”, ha spiegato quest’ultimo. Di qui il rischio di un uragano che, spiega Dimon, potrebbe investire i mercati.

Segnali preoccupanti, vuoi per la qualità dei protagonisti, vuoi perché coincidono con segnali di smarrimento da parte di quelli che dovrebbero essere i punti di riferimento del business: Janet Yellen, responsabile del Tesoro, ha appena confessato di “aver sbagliato sull’inflazione” sottovalutando la portata del fenomeno. Non ha fatto meglio il Presidente della Fed Jerome Powell che si è mosso tardi e male e minaccia ora comportamenti da elefante in cristalleria. Anche la Bce, infine, si è convertita alla tesi che un rialzo (pare di mezzo punto) sia necessario per evitare ondate inflattive, anche se, per la verità, il mercato del lavoro è piatto e la causa prima dell’aumento dei prezzi sta nei problemi delle materie prime e delle catene di produzione distribuzione che non si aggiustano di sicuro muovendo la leva del costo del denaro. Certo, in questo modo si protegge l’euro e si evitano ulteriori aumenti legati al dollaro forte. Ma i rischi sono davvero tanti. Speriamo che l’autunno non sia rovente.

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