Mai come in questa estate vi sono stati segnali di incertezza e confusione, di temporali sin troppo spesso estremi e non solo dal punto di vista climatico ambientale.
Agosto era iniziato per il mondo del credito con i dati delle relative semestrali delle banche in grande spolvero. Utili netti per oltre dieci miliardi per i principali gruppi bancari nazionali. La dinamica dei tassi ha inciso non poco sul profilo e l’equilibrio dei conti economici. Il brusco rialzo dell’inflazione dell’ultimo anno e la conseguente risposta della Bce con l’altrettanto deciso aumento dei tassi di interesse ha fatto lievitare i ricavi da interessi netti delle banche.
Una Bce che giovedì scorso ha rialzato, da luglio 2022, per ben dieci volte consecutive i tassi. Un aumento di un quarto di punto, 25 punti base, arrivando al massimo storico del 4,50%, la stretta monetaria più alta nell’era dell’euro. Una decisione sofferta e non unanime anche all’interno del Consiglio direttivo.
Rialzi finiti? Dipendiamo dai dati… “Non vogliamo una recessione – ha detto Christine Lagarde -, ma adempiere al nostro mandato che è la stabilità dei prezzi, la lotta contro l’inflazione sta facendo progressi, ma l’inflazione continua a essere troppo alta e troppo a lungo, quindi l’obiettivo è abbassare l’inflazione per quelli che ne sono più colpiti”.
Facile a dirsi, più difficile da realizzare. I segnali sono più che discordanti. Le stime della Bce sull’inflazione nell’area Euro si attestano al 5,6% per quest’anno e al 3,2% per il 2024, l’obiettivo, ricordiamolo, è il 2 %. Il quadro economico dell’area euro presenta prezzi che continuano a salire con una crescita economica drasticamente rivista al ribasso (0,7% per il 2023 e l’1% di media per l’anno prossimo). La stretta decisa giovedì può solo aggravare i costi per famiglie, imprese e i conti pubblici, non solo per l’aumento della spesa per gli interessi sui titoli del debito statale che potrebbe collocarsi intorno ai 100 miliardi di euro, 40 miliardi in più rispetto al 2020.
Inevitabili le dichiarazioni di delusione e di distanza, più o meno esplicita, della politica. Anche il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, venerdì scorso, nella conferenza stampa dopo l’Assemblea, rispondendo ad una domanda sui tassi ha sottolineato come “con il rialzo tassi non si risolve automaticamente l’inflazione, ci sono anche altri strumenti… Io auspico che non si vada in recessione ma comunque questa politica vuol dire limitare la capacità di crescita e gli investimenti, stiamo compiendo un danno”.
In questo quadro andiamo a considerare alcuni aspetti che interessano le banche: la corsa dei mutui variabili con una crescita che rispetto a inizio 2022 sino all’ultimo aumento potrebbe arrivare a circa il 70% in più, un calo ancora più marcato della domanda di prestiti e di finanziamenti da parte di imprese e famiglie.
Timori per il credito, quindi, e per il comportamento che terranno le banche da cui dipenderà non poco l’impatto reale sull’economia del nuovo rialzo dei tassi.
Molti nel Governo confidano nel ruolo che in questa fase potrebbe avere la tassa sugli extraprofitti delle banche, annunciata pochi giorni prima di Ferragosto con non poche polemiche e prese di posizione delle parti in causa che hanno scompaginato un po’ tutto.
Come funziona e a cosa serve la tassa al 40% sugli extraprofitti delle banche approvata dal Consiglio dei ministri l’8 agosto all’interno del Decreto omnibus investimenti e attività economiche? Intanto, ricordiamo come, appresa la notizia, la Borsa rispose subito negativamente, bruciando già nelle prime ore di seduta 9 miliardi, con i titoli delle banche crollati ai minimi. Si tratta di un prelievo del 40% sugli introiti extra di banche e istituti di credito, e servirà, nelle intenzioni del Governo, a finanziare misure di sostegno ai cittadini in termini di mutui e tasse. Ecco come dovrebbe funzionare il prelievo extra: si introduce per il 2023, un’imposta straordinaria a carico degli intermediari finanziari, escluse le società di gestione dei fondi comuni d’investimento e le società di intermediazione mobiliare, di cui al Tuf (Testo Unico sulla Finanza) delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. La tassa dovrebbe funzionare secondo le disposizioni attuali in questo modo: un’imposta straordinaria del 40% sul maggior valore del margine di interesse dell’anno 2022, che superi di almeno il 5% il margine del 2021, e sul margine dell’anno 2023, che superi di almeno il 10% il margine del 2021.
L’imposta straordinaria sarà versata nel corso del 2024 e non sarà deducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive. Ai fini della salvaguardia della stabilità degli istituti bancari, una nota del Mef prevede anche un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0,1% del totale dell’attivo.
Sempre il Mef fa notare che gli istituti bancari che hanno già adeguato i tassi sulla raccolta, così come da specifica nota di Banc d’Italia del 15 marzo scorso, non avranno impatti significativi come conseguenza della tassa al 40% sugli extraprofitti, approvata in Consiglio dei ministri.
Il Governo Meloni vuole recuperare risorse finanziarie in vista della prossima Legge di bilancio. La forbice dei tassi, come abbiamo già osservato nell’articolo del marzo scorso, ha prodotto utili record con il margine di intermediazione cresciuto in tutte le banche. L’imposta nasce anche da una diffusa e crescente ostilità verso il mondo del credito.
Ma si sono ripetuti, come spesso accade in casi come questi, diversi errori nei tempi e nei modi. Primo fra tutti quello di non conoscere appieno i meccanismi che regolano i mercati, questioni sostanziali che riguardano l’industria finanziaria. Politica e finanza devono viaggiare su rotte parallele mantenendo ognuno il proprio ruolo e il proprio contesto. Scelte errate e/o affrettate hanno sempre un conto alto da pagare. Alle conseguenze si presta sempre scarsa attenzione, come una comunicazione sbagliata, prigioniera di facili consensi e di populismi, ha causato il tonfo in Borsa con i 9 miliardi di perdita delle banche a Piazza Affari.
È sempre un gioco pericoloso quando si parla di banche, di fiducia, di risorse e investimenti finanziari. Si confondono cause ed effetti. E anche con la tassazione l’attività speculativa non viene intaccata. Si è invocata la misura per ragioni di equità ed efficienza, di giustizia sociale, ma se si vuole stimolare l’economia, tutto ciò non ha alcun effetto positivo. È stato poi invocato un provvedimento analogo anche per i super profitti di altri settori e diversa provenienza, per i big tech, per il settore energetico in seguito alla bolla speculativa sul gas. Ma se tali provvedimenti non rientrano in un quadro complessivo di riforma fiscale e monetaria, appaiono più strumenti utili alla demagogia politica. Occorrono riforme strutturali e non strumenti fiscali una tantum. Occorre aggiornare i sistemi fiscali all’era digitale e finanziaria con un ostacolo da superare: l’Europa non ha una politica fiscale unica e ogni Stato si comporta come crede più opportuno. Una difficoltà non da poco per permettere all’Europa di navigare sicura in mare aperto.
Ma di tutto questo, di finanza, tecnologia e digitalizzazione, torneremo a parlare prossimamente.
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