Appesa al filo della crisi di governo c’è anche la Commissione parlamentare d’inchiesta-bis sulla crisi bancaria: che in teoria dovrebbe iniziare i suoi lavori fra due sole settimane, alla ripresa delle attività di Camera e Senato. I 40 commissari sono stati schierati dalle forze politiche un attimo prima della chiusura estiva, ma nessuno vi ha fatto molto caso: soprattutto dopo l’imprevisto showdown dell’esecutivo Conte. Fra pochi giorni sarà comunque chiaro se la commissione sarà spazzata via dallo scioglimento delle Camere: forse per sempre (e probabilmente con il tacito sollievo di molti fra politica e finanza). Tutto è pronto, in ogni caso, e forse non è superfluo scorrere la lista dei commissari e osservare che nessun partito ha mostrato di aver sottopesato l’appuntamento. 



La Lega ha indicato un esperto veterano come Roberto Calderoli in veste di virtuale “capogruppo”, ma il Pd non è’stato da meno con Luigi Zanda. M5S, ai blocchi di partenza, conta di installare un collaudato tribuno anti-bancario come Gianluigi Paragone sulla poltrona presidenziale che due anni fa è stata di Pier Ferdinando Casini. Ma per i “gialli” è stato messo in formazione anche Elio Lannutti, irriducibile pioniere di un aggressivo consumerismo bancassicurativo, con un importante passato dipietrista. Fra i pentastellati non è passata inosservata neppure Carla Ruocco: fino all’ultimo sponsor di Marcello Minenna, il funzionario Consob che voleva diventare Presidente in concorrenza con Paolo Savona. 



L’anima “antagonista” del Carroccio sarà rappresentata – nel caso – da Alberto Bagnai, mentre osservatore personale di Silvio Berlusconi sarà un ex presidente del Senato come Renato Schifani. E non mancano fra i commissari designati altri nomi “sensibili” sul mercato politico.

Il più significativo è certamente quello di Bruno Tabacci: eletto senatore – quasi più da candidato indipendente che sotto le insegne di +Europa – dal distretto finanziario milanese, emerso come vero bunker di “resistenza civile” ambrosiana all’egemonia salviniana. Se le grandi istituzioni finanziarie meneghine (anzitutto Intesa Sanpaolo e Mediobanca, ma anche BancoBpm e Fondazione Cariplo) avranno un loro “commissario” fra i 40, questo promette di esserlo anzitutto l’antico successore di Giuseppe Guzzetti al vertice della Regione Lombardia. E c’è un altro “democristiano del ventunesimo secolo” che merita di essere tenuto d’occhio nella nuova commissione bancaria: Francesco Boccia, un cursus sintonico con quello dell’ex premier Enrico Letta, ma non così lontano da quello di Sandro Gozi, recentemente alle cronache per l’arruolamento da parte del presidente francese Emmanuel Macron. Il bocconiano Boccia resta, in ogni caso, esponente di primo piano del Pd “istituzionale” del Capo dello Stato Sergio Mattarella e dell’ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi. Cioè del prevedibile nucleo del “partito di Mario Draghi” se, quando e come dovesse vedere la luce.



Due anni fa la commissione Casini – voluta da Pd e M5S – dipanò i suoi lavori ancora in un autunno rovente sul terreno politico-finanziario, alla vigilia certa di una primavera elettorale. Nel 2017 l’esito più rilevante fu senz’altro l’accelerazione in corsa della conferma di Ignazio Visco a governatore Bankitalia. E se per caso la commissione-bis si svolgerà regolarmente – perché l’ipotesi di nuove elezioni sarà stata per ora evitata – durante i lavori il Governo italiano dovrà indicare il nuovo membro italiano nell’esecutivo Bce, al posto di Draghi. Esclusa – almeno al momento – ogni ipotesi di promozione a Francoforte dello stesso Visco, candidato naturale sembra Fabio Panetta: che ha già operato in Bce come rappresentante Bankitalia nel Consiglio di supervisione bancaria. Panetta è stato appena nominato Direttore generale in via Nazionale, dopo il laboriosissimo rimpasto primaverile del Direttorio. Ed è l’unico tecnocrate di lungo corso (italiano ed europeo) ad aver per ora riscosso la fiducia di entrambe le forze dell’attuale maggioranza di Governo: anzitutto sul versante cruciale della vigilanza bancaria. Se, naturalmente, nelle prossime settimane la scelta fosse demandata a un Governo di garanzia elettorale, è evidente che la scelta sarebbe appannaggio diretto della Presidenza della Repubblica. 

Fra Italia ed Europa c’è comunque un politico italiano che sbaglierebbe se guardasse con distrazione ai lavori della commissione bancaria-bis del Parlamento italiano: è il neo presidente (S&D) del Parlamento europeo David Sassoli. Perché in fondo la sede più propria per un grande confronto politico sulla crisi bancaria e sul futuro dell’industria finanziaria sarebbe Strasburgo. Il “whatever it takes” di Draghi a difesa dell’euro è stato contemporaneo alla nascita dell’Unione bancaria, a valle del salvataggio del sistema creditizio spagnolo. Ma sette anni dopo è ormai chiaro che l’epicentro della grande crisi europea era fin da allora la Germania: non le banche del Sud Europa. Neppure nel 2019, naturalmente, il Bundestag della piccola coalizione tardo-merkeliana mostra segni minimi di coraggio democratico: quello che – con tutti gli aspetti problematici e discutibili del caso – esprime il sistema-Italia. Ma la Germania di Deutsche Bank e Commerz e delle Landesbaken disastrate è evidentemente ancora convinta che debbano cambiare solo le  banche “degli altri”, ai cenni dell’eurocrazia di Bruxelles.

Se a Strasburgo l’europarlamento appena eletto vuole davvero segnare una svolta di ruolo nella vacillante governance democratica europea, ha un’occasione imperdibile: insediare al suo interno una commissione d’inchiesta sulla crisi bancaria. Cioè sulla crisi dell’Europa.