Nei prossimi giorni la Banca centrale europea dovrebbe autorizzare la Delfin di Del Vecchio a salire fino al 20% delle azioni di Mediobanca. Complice la pandemia da coronavirus, la crisi economica e tante vicende geopolitiche importanti, il “riassetto” del sistema bancario italiano in corso è passato in secondo piano. Eppure è successo e sta succedendo molto. Si è conclusa l’Opas di Intesa su Ubi che ha “tolto” dal mercato una delle prime cinque banche italiane nonché “ex” candidata a fare da perno per la creazione di un terzo polo sulla cui nascita a questo punto è lecito dubitare. La salita di Del Vecchio al 20% di Mediobanca darebbe una fisionomia all’azionariato della principale banca d’affari italiana del tutto nuova. Mediobanca è, sempre utile ricordarlo, l’azionista di maggioranza relativa di Generali.

Del Vecchio ha prima consegnato la principale società immobiliare italiana, Beni Stabili, ai francesi di Fonciere des regions, oggi Covivio, e poi ha fuso Luxottica con Essilor creando una società che ha il suo centro a Parigi e la cui italianità è appesa al filo della quota “personale” di Del Vecchio che farebbe da arginare al sistema francese. Una posizione, quella “italiana”, che nel lungo periodo sembra destinata a soccombere di fronte alla perseveranza del monolitco sistema Paese francese. L’Opas di Intesa su Ubi ha lasciato Montepaschi e BancoBpm in mezzo al guado. Montepaschi, al momento, sembra un boccone indigesto per tutti tra cause legali e sofferenze. Il “Banco” rimane senza uno sbocco certo. L’ad di Unicredit, Mustier, ha dichiarato in lungo e in largo di non volere fare aggregazioni ma i rumour sulle sue dimissioni, fine febbraio, hanno appena sei mesi. Anche Bper nel medio periodo potrebbe dover confrontarsi con uno scenario di aggregazione.

La crisi da coronavirus e il crollo del pil si faranno ovviamente sentire sui bilanci delle banche italiane anche senza ipotizzare tensioni sulle obbligazioni statali italiane. La fase di “stress” che certamente arriverà potrebbe determinare un’accelerazione del riassetto del sistema finanziario italiano che oggi probabilmente in molti non scontano. La “fetta” del sistema interessata è molto grande. La riforma delle popolari di Renzi, imposta nottetempo, ha dato grande soddisfazione ai “mercati” e a qualche “fortunatissimo” investitore, ma ha lasciato una parte importante del sistema senza assetti stabili; un epilogo che sarebbe stato impensabile in qualsiasi altro Paese d’Europa.

La domanda lecita è quale spazio ci sia per il sistema Paese italiano nel sistema finanziario italiano. È perfino inutile specificare che la carta d’identità degli azionisti e del management è decisiva per le scelte di investimento e per le politiche creditizie delle banche; questo vale in ogni Paese d’Europa. Vale ancora di più oggi con le nuove regole che obbligano banche e società finanziarie a diversificare il proprio portafoglio di titoli di stato.

Chi raccoglierà il risparmio degli italiani e chi deciderà a chi prestarlo? È una questione decisiva che si spera venga affrontata con la dovuta serietà e con la dovuta attenzione alle esigenze del sistema Paese. In un mondo pieno di debito, infatti, i risparmi fanno gola a tanti.