Un articolo comparso su starmag.it traccia le differenze tra gli aiuti che gli Stati Uniti stanno destinando alla popolazione in epoca di Coronavirus e quelli che in Italia stanno arrivando molto lentamente. I motivi? Si dice subito che nel nostro Paese ad essere responsabili sono le lungaggini burocratiche; nonostante dunque due decreti – quello di Liquidità è anche stato pensato e creato ad hoc – i tempi sono decisamente lunghi e allora Manola Piras, l’autrice dell’articolo, è andata a vedere quello che succede oltre oceano. Il Tesoro degli Stati Uniti per esempio ha deciso con il Cares Act di fornire finanziamenti che, per buona parte, sono a fondo perduto; in questo Cares Act, varato a fine marzo e che prevede 349 miliardi di dollari da stanziare alle imprese, è compreso anche il pacchetto di sostegno alle famiglie e i lavoratori, con un assegno medio che può arrivare a 1200 dollari per un adulto e 500 per un minorenne (fino a 17 anni), mentre il nucleo familiare può percepire un massimo di 3400 dollari.
Inoltre, lo scorso 24 aprile Donald Trump ha firmato l’Enhancement Act: si tratta di fatto di un pacchetto federale di aiuti da 484 miliardi di dollari, e destinato al sostegno di piccole imprese e ospedali. E’ sostanzialmente un rifinanziamento del PPP (Paycheck Protection Program) che era stato introdotto dal Cares Act e grazie al quale, come già specificato, venivano stanziati soldi per le imprese con meno di 500 dipendenti. Come funzionano queste due misure? Intanto, ciascuna impresa può ricevere un massimo di 10 milioni di dollari che sono garantiti dall’agenzia governativa; i soldi devono andare a coprire stipendi, interessi di mutui precedentemente accesi, canoni di affitto o locazione. Il punto, come ha spiegato un’analista di Diritto Bancario (rivista specializzata) è che questi dollari sono erogati come prestiti biennali ad un 1% di tasso di interesse, ma convertibili in sussidi a fondo perduto qualora siano impiegati almeno al 75% per sostenere i costi del personale nelle otto settimane successive, e a patto che occupazione e livelli salariali siano mantenuti, oppure i dipendenti licenziati siano riassunti in tempi brevi.
PERCHE’ LE BANCHE NON EROGANO FINANZIAMENTI?
Le domande negli Stati Uniti sono state circa 1,7 milioni: i 349 miliardi di dollari sono stati esauriti in meno di 15 giorni, al programma hanno partecipato grandi imprese ed è così emersa la tendenza dei grandi istituti di credito a privilegiare gli importi più ingenti (lo ha spiegato Anna Toniolo, dell’Università di Trento) così da aumentare il valore delle loro commissioni. Sull’articolo di starmag.it è citato il caso di UmbraGroup, multinazionale che ha sede a Foligno: ha due società negli Stati Uniti ed entrambe hanno ricevuto gli aiuti in tempi rapidissimi: Linear MotionLLC (controllata al 100% dal gruppo) ha presentato la domanda il 24 aprile e una settimana dopo (esatta) aveva già la somma richiesta. Cosa succede invece in Italia? Qualcosa di diverso, perché i finanziamenti previsti dal decreto Liquidità non decollano. Le imprese che per ora hanno fatto richiesta alle banche si trovano impelagate con una lunga burocrazia, istruttorie che prendono più tempo del previsto e dunque ritardi.
Giovanni Sabatini, direttore generale di Abi, ha parlato nel corso dell’audizione in Parlamento e detto che per ridurre questi tempi bisogna “tutelare sotto il profilo penale l’attività di erogazione di credito durante la crisi”. Vale a dire, evitar che i rischi siano trasferiti sulle banche e gli esponenti qualora i sostegni offerti alle imprese non sortissero gli effetti sperati. Tradotto: potrebbe esserci il caso di aziende insolventi con possibili conseguenze rispetto alle procedure fallimentari. Lo ha detto più chiaramente Lando Maria Sileoni, segretario generale di Fabi: “Le banche hanno rallentato perché stanno pretendendo dal Governo uno scudo penale su argomenti specifici”. Potrebbero andare incontro ad accuse di reati in concorso come bancarotta preferenziale o bancarotta semplice delle imprese cui vengano concessi i prestiti.