L’8 e il 9 febbraio scorso si è svolto il I Congresso Nazionale First Cisl dei lavoratori bancari a cui hanno partecipato più di 70 delegati da tutte le regioni di Italia per eleggere i nuovi dirigenti delle relazioni sindacali dei due gruppi del credito cooperativo: Iccrea e Cassa Centrale Banca. La due giorni molto ricca e variegata è iniziata con un importante convegno sulle “Bcc e la sfida della sostenibilità sociale” avendo come leitmotiv di fondo la gestione dei crediti problematici e le conseguenze sui territori.
Alla tavola rotonda sono intervenuti, moderati da Paolo Grinaschi, ex-dirigente Federlux e componente della Fondazione Fiba-Cisl, l’economista Lucio Lamberti dell’Università telematica San Raffaele, Elisa Bevilacqua, responsabile finanza sostenibile (ESG) di EACB (Associazione Europea Banche Cooperative), Roberto di Salvo vice-direttore di Federcasse, Riccardo Colombani, segretario nazionale First-Cisl.
Elisa Bevilacqua ha iniziato il suo intervento mettendo in evidenza i numeri espressi dalle banche cooperative europee: 2.754 banche, 209 milioni di clienti, 84 milioni di soci e oltre 7.000 miliardi di attivi con una quota di mercato che copre il 30% dei finanziamenti all’economia reale: un cittadino europeo su cinque si serve di questi istituti. “Le Bcc possono essere artefici di uno sviluppo sostenibile perché conoscono le vere esigenze dei territori – ha chiosato la relatrice – di cui fanno parte e con cui condividono ricchezze e fortune”. Queste banche dovranno confrontarsi con la sfida della sostenibilità ambientale traducendo nei territori il Green Deal europeo e i 17 goals dell’Onu, molti dei quali sono ispirati ai medesimi principi di mutualità di cui la cooperazione vive: un aumento del riscaldamento globale dal 2% al 5% porterebbe una perdita del Pil pro-capite dell’8% in Italia.
Le banche locali saranno tenute, ha continuato la relatrice, a “incorporare i fattori ESG (Environmental, Social e Governance) nelle strategie e nel rapporto con il cliente” e aiutare le pmi a dotarsi di strumenti per rendicontare la loro performance ambientale. Si sta costruendo un sistema di classificazione comune per incoraggiare gli investimenti privati nella crescita green (tassonomia), ma nel momento in cui si farà altrettanto nell’ambito sociale le banche cooperative dovranno essere facilitate nell’erogazione del credito verso questo settore che fa parte del loro DNA.
Lucio Lamberti ha spiegato che le banche in Europa sono delle infrastrutture indispensabili per trasferire la ricchezza da chi la possiede a che ne ha bisogno per investire trasformando il breve termine in lungo termine, mentre nei Paesi anglosassoni questo rapporto è diretto.
La struttura industriale italiana è costituita per il 90% da piccole e medie imprese per lo più di tipo manifatturiero che hanno bisogno di banche di prossimità per continuare a produrre e a svilupparsi. I prestiti a breve all’imprese minori sono andati diminuendo dal 2009 a oggi del 40% e la riforma delle Bcc rischia di ridurre ancora il rapporto con il territorio.
La crisi finanziaria del 2008/2011 ha portato nel sistema molti crediti problematici (Npl) e il dopo pandemia rischia di riproporre lo stesso scenario con il regolatore europeo che spinge per accorciare i tempi delle dismissioni di questi assets.
Di Salvo ha descritto l’esperienza di gestione in house dei crediti deteriorati da parte di Iccrea per le Bcc italiane che ha consentito un recupero vicino al 50% rispetto al 21% medio della cessione verso società specializzate; questa modalità ha salvaguardato al tempo stesso i territori da un ulteriore depauperamento dovuto alla gestione spesso famelica di questi operatori. Riccardo Colombani ha concluso il convegno ricordando che la Costituzione italiana all’art. 47 mette tra i compiti della Repubblica non solo la tutela del risparmio, ma anche la disciplina, il coordinamento e il controllo dell’esercizio del credito. D’altra parte, il credito bancario è cresciuto nel 2020 proprio grazie ai provvedimenti legislativi con i quali sono state definite specifiche garanzie pubbliche per le nuove erogazioni creditizie da parte delle banche. La flessibilità decisionale, adottata in risposta alle conseguenze sociali ed economiche causate dalla pandemia, è stata determinante per evitare un’irrimediabile distruzione di capacità produttiva per il Paese.
Il ritorno alle rigide regole europee riguardo alla classificazione di default, alla svalutazione deterministica del credito, all’osservanza di parametri di rischiosità dei crediti deteriorati rispetto al totale (Npl ratio), potrebbe determinare fenomeni di credit crunch e ulteriori cessioni di Npl sul mercato, con possibili brutte conseguenze per i debitori ceduti. Proprio in ordine a tale ultimo aspetto, la questione è rilevante, e contraddittoria, per le Bcc che sono, da una parte, obbligate a concedere credito per il 95% sul territorio di competenza, dall’altra, a cedere “meccanicamente” il credito alle prime avvisaglie di deterioramento, mettendo a rischio la tenuta sociale ed economica degli stessi territori serviti.
La cessione dei crediti non performing indotta dalle regole è pericolosa in sé, perché l’esercizio del credito, de facto, è stato consentito a soggetti non bancari e in alcuni casi non vigilati. Riguardo alle Bcc, l’uniformità regolamentare ha determinato un’omologazione dell’Intermediazione creditizia a mutualità prevalente, quella delle Bcc appunto, al credito non cooperativo con il concreto rischio di creare un cortocircuito con i soggetti economici, famiglie e imprese, dei territori serviti.
Il passaggio dei crediti non performing dalle banche a soggetti diversi, in alcuni casi non vigilati, pone un legittimo interrogativo: i circa 250 miliardi di NPL ceduti dove sono andati a finire? Chi li detiene? Quali effetti produrranno nelle economie dei territori?
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