Se il dissesto della Popolare di Bari fosse stato prevenuto – o gestito in modo più ordinato – sarebbero rimaste probabilmente elevate le chance di cancellazione dall’agenda politica della commissione parlamentare d’inchiesta sulla crisi bancaria: che lo stesso Quirinale aveva mostrato di ritenere poco opportuna all’atto di firmarne la convocazione (era ancora viva la maggioranza Lega-M5s). Ma se la commissione – comunque insediata già a fine luglio – avesse potuto iniziare i suoi lavori all’inizio di settembre o appena dopo l’entrata in carica del Conte 2 – senza che si prolungassero i velenosi rinvii seguiti al “ribaltone” di agosto – è possibile che anche la stabilizzazione della maggiore banca rimasta al Sud si sarebbe potuta realizzare in un clima meno caotico. Un contesto insidioso, non da ultimo, per il nuovo passaggio di governance che sta interessando la Banca d’Italia: la nomina del nuovo direttore generale, in sostituzione di Fabio Panetta, già designato all’esecutivo Bce a ricoprire il seggio che è stato fino al 31 ottobre di Mario Draghi.
È un ennesimo incrocio pericoloso, impegnando il quale nessuno dei protagonisti – purtroppo – sembra poter vantare una guida sufficientemente accettabile. La Banca d’Italia, in particolare, si ritrova nell’occhio del ciclone a quattro anni dalla prima ondata di risoluzioni (Banca Etruria & co.) e due anni dopo i dissesti problematici di Mps e delle due Popolari venete. Già due anni fa il governatore Ignazio Visco fu confermato per un secondo mandati proprio nel mezzo dei lavori della prima commissione d’inchiesta. Ora un altro crack – per molti versi annunciato, forse più dei precedenti – rimette in discussione della Vigilanza. Che Visco ha tutte le ragioni di difendere sul piano formale: ma ha ancora una volta più di una difficoltà a proteggere sul quello sostanziale.
Ciò che, una volta di più, promette di sostenere Visco – e non sarà infine un male – è la credibilità nettamente inferiore del vertice della Popolare di Bari e di M5S, che sta nuovamente brandendo la commissione d’inchiesta in chiave politica spiccia. Il dissesto della Popolare risente certamente della stagnazione senza precedenti che ha interessato nell’ultimo decennio l’intera Azienda-Italia e quindi in particolare le sue regioni più deboli, nel Meridione. Ma non c’è dubbio – e lo sta confermando la miriade di inchieste giudiziarie aperte in sequenza – che quella maturata a Bari è una grave crisi di mismanagement: nella quale – a fianco del ruolo della famiglia-banchiera Jacobini – spicca l’operato di Vincenzo De Bustis. Con un cursus da sempre discusso: partito dalla Banca del Salento – “di riferimento” nei collegi elettorali cari ai Ds di Massimo D’Alema – e asceso nel firmamento creditizio alla direzione generale di Mps per approdare poi al vertice di Deutsche Bank Italia, prima del ritorno in Puglia.
E i politici? Appare sicuramente un circolo vizioso quello che ha virtualmente strangolato la candidatura di Elio Lannutti a presidente della commissione bicamerale d’inchiesta. Era già una “seconda scelta”, il fondatore dell’Adusbef, prima associazione italiana di tutela dei risparmio. L’ex senatore dipietrista rientrato in gioco sotto l’egida “anti-bancaria” dei pentastellati avrebbe dovuto subentrare a Gianluigi Paragone, lui pure entrato a Palazzo Madama da transfuga leghista. Ma Lannutti – già colpito da un controverso tweet di sapore antisemita – sembra ormai affondato dalla notizia (non di pubblico dominio) che il figlio è dipendente della stessa Popolare di Bari. Il che non rappresenta certamente un unicum nel groviglio di relazioni fra vigilanti e vigilati: è noto che Gianni Zonin avesse arruolato nel top management della Popolare di Vicenza un ex capo della segreteria particolare di un Governatore Bankitalia. Così come è noto che allo storico capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, è risultato infine sbarrato l’accesso alla vicedirezione generale a favore di una “quota rosa” esterna come Alessandra Perazzelli (Barbagallo è comunque stato ripescato come presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria della Santa Sede su chiamata di Papa Francesco).
Quel che è certo è che non è la cornice migliore per il tranquillo passaggio di consegne immaginato da Visco alla direzione generale fra Panetta e Daniele Franco, il Ragioniere Generale dello Stato rientrato in via Nazionale un anno fa come vicedirettore generale. Un aggiustamento turbolento, quello del direttorio Bankitalia sotto il Conte 2: con il direttore generale Salvatore Rossi (barese) spinto al pensionamento anticipato a beneficio di Panetta; con Luigi Federico Signorini congelato per settimane dall’antagonismo antibancario trasversale fra M5S, Lega e Pd renziano.
Per un classico paradosso italiano, la commissione d’inchiesta-bis sulle banche avrebbe più di un motivo per tenersi. Ma non può essere quella che ha intesta Luigi Di Maio.