Conviene offrire il proprio sguardo per andare un po’ più in là. E, finalmente, vedere. Anche solo di passaggio, anche per un tempo breve, magari rubato all’ordinario, con gli occhi e il cuore aperti alla verità della bellezza. Ai colori di un bianco e nero che restituisce una storia lunga trent’anni. Ritratti in bianco e nero che accendono piazza del Duomo, a Milano. Tutti i giorni, fino al 29 settembre, dalle 9.30 alle 20, dal lato della Rinascente. Ci riferiamo alla mostra (arriva in città dopo un percorso itinerante lungo lo Stivale toccando ben 30 città) che racconta l’avventura e la sfida del Banco Alimentare grazie agli scatti d’autore di Enrico Genovesi (ma non mancano fotografie cosiddette amatoriali che arricchiscono di contenuti la proposta), artista non nuovo a immortalare il bisogno, a occuparsi di quelli che di solito non fanno notizia. Ma sono fatti. Nella tensostruttura che l’accoglie avviene l’incontro con un’opera di vita, di carità, di speranza nata dall’intuizione di don Luigi Giussani e il cavalier Fossati della ditta Star, quella dei dadi per intenderci.



La fotografia – linguaggio universale e oggi più che mai cifra del contemporaneo – coglie e rilancia l’istante di un’umanità diffusa che domanda con una dignità elementare. Ogni scatto è una piccola storia di qualcosa di buono che accade. Ogni scatto traduce la verità di un gesto gratuito, sorprendente, anonimo, vitale. Ogni scatto è come ritrovare il sapore di un autentico che c’è. E che testimonia il valore di una catena umana che si tiene insieme perché l’uomo sa sorprendersi e sorprendere: nel dare e nel ricevere. Ogni scatto è come la testimonianza di un legame.



Genovesi nel “ritrattare” ha fatto un passo in avanti per vivere innanzitutto l’originalità dell’esperienza del Banco Alimentare dentro lo spaccato di ogni giorno. Nessun esercizio di stile, il suo. Nessuno scatto da maestro estraneo che si presta alla buona azione. Lui si è messo in gioco e quel che si può vedere è l’esito del suo mettere le mani in pasta. Del suo accettare che la realtà merita di essere colta nuda e cruda; come un piegarsi per esaltare e meravigliare, perché l’arte nell’umiltà può restituire il meglio, cento volte tanto.

Nelle foto ci sono i volti. Dunque, le persone. Gli scartati. Gli umiliati e offesi di questo tempo un po’ distratto. Che dicono, che comunicano gratitudine. Volti di giovani accesi dalla speranza e occhi non spenti dalla drammaticità di una condizione troppo spesso insopportabile perché ingiusta. Volti di anziani non piegati seppur provati. Ancora capaci di riconoscere che si può tornare a vivere grazie al miracolo del sentirsi chiamare per nome. Ma anche i volti di chi si presta all’opera, al popolo dei volontari, silenti e presenti. Quello proposto da Banco Alimentare è un viaggio per immagini nell’Italia che è un delitto nascondere. La carità è sempre una novità. È un risveglio come il viso che si illumina della donna quando riceve alcuni beni di prima necessità. Come l’anziano che alla mensa trova il suo pane quotidiano. Mani che si cercano, sguardi che si incrociano, povertà che si esprimono nel valore della relazione ritrovata o scoperta per la prima volta.



No, questa mostra non è un album di fotografie per quanto belle, una sfilata dell’altra realtà – quella delle poche righe in cronaca – che va in passerella per ragioni pubblicitarie o sentimentali. Questa mostra è un abbraccio, uno “scatto” in avanti. Un vestito pieno di toppe, eppure un vestito. Un’occasione per tutti. E che questo gesto  d’arte per la vita avvenga ai piedi della Madonnina – Lei che ben conosce il patire – fa opportunamente saltare “il banco” della nostra estraneità. Già, perché ciascuno può essere un Compagno di Banco, come recita l’indovinato titolo scelto per il racconto di Genovesi in piazza del Duomo. E per altre iniziative in calendario nei giorni della mostra. Buona visione, allora. Di una bella e vera visione.