Centrale nella puntata odierna di Magistrati – il programma in onda su Rai 3 in seconda serata, con la conduzione di Cesare Bocci – sarà il famoso caso della cosiddetta ‘banda della Uno bianca‘ che per circa un decennio ha letteralmente terrorizzato i cittadini emiliani e marchigiani con una serie di violenti colpi armati che per lungo tempo fecero brancolare le autorità in un vero e proprio buio con sei persone – ovvero i componenti della banda della Una bianca – che sembrano essere del tutto inafferrabili; in grado di eludere posti di blocco, appostamenti e pedinamenti da parte degli agenti in divisa lasciandosi alle spalle una lunga scia di sangue e furti.
Tra queste righe ci soffermeremo proprio sulla storia della banda della Uno bianca e per farlo non possiamo che tornare a quel 1987 in cui mise a segno il primo di moltissimi altri colpi saccheggiando notte tempo alcuni caselli autostradali (complessivamente 12 in un paio di mesi): da quel momento il tenore e l’importanza delle azioni criminose crebbe coinvolgendo prima un noto imprenditore riminese – tale Savino Grossi -, poi alcuni supermercati e negozi ed infine anche le istituzioni bancarie.
In nome della banda della Uno bianca – chiamata così dai media per via della propensione all’uso di macchine Fiat Uno sempre di colore bianco – cominciò a circolare in tutta la nazione e nel 1991 venne messa in scena la famose (o famigerata) strage del Pilastro nella quale uccisero a sangue freddo tre agenti dei Carabinieri temendo che fossero sulle loro tracce e che avessero registrato la targa della Uno bianca sulla quale stavano circolando in cerca – presumibilmente – di altre vetture da rubare.
Come si è arrivati alla banda della Uno bianca e chi erano i sei componenti: arresti e condanne
Così, nell’arco del periodo tra il 1987 e il 1994 la banda della Uno bianca riuscì a mettere impunemente a segno 103 azioni criminose (in larghissima parte rapine, quasi sempre a mano armata), uccidendo 24 persone e ferendone più di 100; il tutto – vale la pena ricordarlo – senza lasciare alcuna traccia che permettesse agli inquirenti di mettersi sulle loro tracce; o meglio, con una singola prova che poi si rivelò decisiva, ovvero l’identikit di uno dei sei membri della banda ottenuto grazie ad una fortuita registrazione di un furto che avevano compiuto in una banca.
Dopo numerose indagini ed arresti che non portarono a nulla di concreto, senza dimenticare l’istituzione e lo scioglimento di un vero e proprio pool di magistrati riminesi, ad imprimere una significativa svola alla lunga inchiesta sulla banda della Una bianca ci pensarono due poliziotti riminese – l’ispettore Luciano Baglioni e il sovrintendente Pietro Costanza – che nel corso di un appostamento individuarono una Fiat Tipo bianca che circolava fuori da una banca con la targa sporca: insospettiti, riconobbero nell’uomo alla guida la fisionomia di quello impresso nell’identikit, seguendolo fino alla sua abitazione.
Qualche tempo più tardi venne arrestato Roberto Savi, considerato tra le menti dietro alla banda della Una bianca e che in breve tempo permise anche di arrestare i suoi fratelli Alberto e Fabio, oltre a Marino Occhipinti, Pietro Gugliotta e Luca Vallicelli scoprendo così che l’abilità di fuggire dalle autorità era dovuta al fatto che tutti loro (escluso Fabio Savi) erano agenti della polizia: i tre fratelli e Occhipinti vennero condannati all’ergastolo – che stanno ancora scontando, ad eccezione dell’ultimo che si è pentito ottenendo la liberà nel 2018 -, mentre Gugliotta ottenne una pena ridotta a 18 anni e Vallicelli se la cavò con 3 anni grazie ad un patteggiamento.