Intervista scoppiettante quella rilasciata da Barbara Alberti, scrittrice, sceneggiatrice, opinionista tv ed ex concorrente del Grande Fratello Vip. Chiacchierando con mowmag.com, ha parlato del politically correct, delle censure, e della deriva particolare che sta prendendo il mondo. Mondo che secondo la stessa Barbara Alberti “E’ vittima di un rinc*glionimento totale, di stampo reazionario. Noi vecchi non pensavamo certo di lasciare un mondo ideale, ma morire (facciamo le corna perché vorrei stare ancora un po’ qua) travolti dalla stupidità è veramente spiacevole. Non si riesce a difendere i diritti di qualcuno senza ledere i diritti di qualcun altro”.



Un cambiamento radicale che sta riguardando in particolare il mondo dello spettacolo, a cominciare da quello del cinema: “Se io sono un attore bravo o bravissimo perché non potrei interpretare un ruolo piuttosto che un altro? La recitazione è trasfigurazione, dissolve l’identità, ogni rappresentazione di te che hai nel mondo. Altro che regolette fintoprogressiste. È la morte dell’arte. Recitare è inventare – aggiunge – dunque è censura pura, idiozia al potere”.



BARBARA ALBERTI: “QUOTE MINIME PER MINORANZE DISTRUGGERANNO IL CINEMA”

Recentemente l’accademia degli Oscar ha introdotto delle quote minime riservate alle minoranze, una novità che secondo Barbara Alberti “Distruggerà il cinema. Mio marito (Amedeo Pagani, ndr) è produttore di registi come Theo Angelopous, Marco Bechis, ha fatto film bellissimi, ha portato in Italia Wong-Kar Wai, Kitano. Ed è disperato. Come tutti quelli che vogliono fare il vero cinema, quello sentito, quello bello. È la negazione della libertà creativa. Un mondo morbidamente, mellifluamente totalitario di base, che cerca di salvarsi con la forma, degrada la moralità a slogan e censura le parole, sostituendole con altre che sono a volte più offensive dei nomignoli infami di una volta. Credono di creare un’uguaglianza teorica, verbale. Pensano che cambiando le parole si possa cambiare tutto. Perché non iniziare i giovani alla bellezza (in ogni senso), che quella sì educa a non essere dei bestioni razzisti. Cosa verrà fuori ancora nell’arte? Che magari un bravo violoncellista non potrà suonare in un’orchestra perché non è gay o non è nano? Puro nonsense. Penso che in futuro, se gli uomini si riprenderanno, di questa epoca si riderà molto. Forse ne nascerà una grande fioritura artistica satirica”. Secondo Barbara Alberti la società di oggi rinnega “Il libero arbitrio. E nessun dittatore ce lo sta imponendo. Siamo noi i dittatori di noi stessi”, e ancora: “Non riusciamo a sostenere la nostra libertà. Siamo al culmine di questo rifiuto, che c’è sempre stato, ma la velocità della comunicazione contagia tutto. Quella è la peggiore delle epidemie. E ci siamo dentro”.



BARBARA ALBERTI: “STOP AGLI ANGELI DI VICTORIA’S SECRET? DERIVA DELLA BODY POSITIVITY”

Recentemente Victoria’s Secret ha deciso di abolire i famosi Angeli, le supermodelle dal fisico statuario: “È la deriva della body positivity – commenta ancora Barbara Alberti – non è «vogliamo essere liberi di essere come siamo, non vogliamo più essere discriminate!», no, a loro volta impongono un modello. E se a me piace pesare cinquanta chili? Mi ricordo quando hanno attaccato Diletta Leotta perché si era vestita da Barbie: ma come, tu ti puoi vestire da balena e io non posso vestirmi da Barbie? O da elfo? È un’altra forma di perverso razzismo sotterraneo che sta mettendo radici. Io penso che siamo perduti, ma mi piace sperare che duri poco e che vincano i poeti”. La scrittrice ne ha anche nei confronti dello schwa, segno che indica un plurale neutro e che viene utilizzato da diversi personaggi noti come la scrittrice Michela Murgia: “Mi meraviglia. Michela Murgia è una persona semplicemente geniale, con una dialettica formidabile, e una scrittura che resta. E poeta. Giorni fa mi sono ricordata una frase bellissima: «Questo luogo dove la lingua più parlata è ancora il silenzio». L’ho attribuita a T.S. Eliot, invece era di Michela Murgia. Come può una persona con un tale istinto poetico incartarsi in questo formalismo, in questo barocchismo moderno? Se censuri Céline, e lo traduci in un linguaggio politicamente corretto, non solo diventa illeggibile, ma sciocco. È bello e vitale che ci siano gli uomini, le donne, i trans. Ma senza manuali di bon ton ipocrita. Io voglio essere libera di dire tutte le parole che voglio, persino di bestemmiare. Ora dobbiamo rifare tutta la letteratura mondiale? Se non diciamo più “zoppo” la persona non è più zoppa, e sarà trattata con maggior rispetto?”, poi prosegue a fiume: “Per la nostra cattiva coscienza razzista abbiamo trasformato in ingiuria la parola «negro», che è diventato insulto, mentre «bianco» non lo è. Poi però, quando Willy Monteiro Duarte, pacifico gentile ragazzo, viene assassinato dal gruppo per il colore della pelle, nessuno osa pronunciare la parola “linciaggio”. E si crede di rimediare cambiando le parole? La censura non ha mai portato bene. Usare parole diverse per identificare le stesse persone, che siano neri, gay, trans o portatori di handicap, non fa automaticamente crescere il rispetto nei loro confronti, mentre fa sicuramente aumentare l’ipocrisia. È grottesco pensare di riformare una società attraverso un formalismo forzoso. Bisognerebbe educare i bambini e i ragazzi a rispettare tutti. Cominciando da sé. A coltivare la libertà. E se proprio si vuole fare qualcosa sul piano della lingua, si insegni a dare del lei agli extracomunitari. Appena hanno a che fare con un nero o un filippino tutti gli danno del tu. È una roba da Alabama”