Il campo largo, l’alleanza tra Pd e 5 Stelle che doveva riportare l’Italia a sinistra, è durato lo spazio di un mattino. Il tempo sufficiente per vincere in Sardegna, perdere in Abruzzo e scoppiare in Puglia. Ironia della sorte, l’innesco alla deflagrazione è stato fornito da un’inchiesta della magistratura, ovvero una delle armi più spesso impugnate dall’area politica giustizialista per accusare i centristi prima (quando divampò Mani pulite) e il centrodestra poi (dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi). E per ulteriore contrappasso, l’epicentro dell’esplosione è Bari, la città di Giampaolo Tarantini, l’imprenditore diventato famoso 15 anni fa per essere stato protagonista delle “cene eleganti” nelle case del Cavaliere dove si presentava contornato da escort per il “sultano”: così i grandi giornali dell’epoca definivano l’allora presidente del Consiglio.



Oggi non ci sono ragazze facili da reclutare con relative condanne, ma accuse che almeno dal punto di vista politico sono molto più gravi: cioè la compravendita di voti. Secondo la Procura del capoluogo pugliese, l’ex assessora ai Trasporti della Regione, Anita Maurodinoia (Pd), avrebbe “sistematicamente” pagato 50 euro ciascuna le preferenze (per sé e altri) alle elezioni comunali di Bari del 26 maggio 2019 e alle regionali del settembre 2020.



Scoppiato il bubbone, è saltato in aria anche il patto che si stava formando tra i partiti di opposizione. Domani erano in programma le primarie della sinistra, alle quali per la prima volta si doveva presentare anche il M5s per decidere il candidato alle elezioni comunali 2024: in lizza Michele Laforgia (M5s) e Vito Leccese (Pd). Ma proprio il movimento di Giuseppe Conte ha fatto un passo indietro perché “la legalità per noi non è un valore negoziabile”. La leader del Pd, Elly Schlein, ha ribattuto che “così si favorisce la destra” e ha criticato il venir meno della parola data. Conte ha rimandato al mittente le accuse di slealtà. E così le primarie “di coalizione” sono finite nel cestino. L’alleanza si è sgretolata prima ancora di essere costruita.



Il nome della Maurodinoia, dimessasi dopo l’iscrizione nel registro degli indagati, era emerso anche nell’inchiesta che – con i suoi 130 arresti – aveva portato a galla le infiltrazioni mafiose al Comune di Bari: è l’indagine che aveva indotto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, come da prassi, a mandare gli ispettori nel capoluogo pugliese, iniziativa che a sua volta aveva provocato le lacrime del sindaco barese Antonio Decaro e l’indignazione del Pd. Invece che aprire le porte per fare chiarezza e dimostrare di non avere nulla da nascondere, il partito della Schlein ha sollevato un polverone proclamandosi vittima di una persecuzione politica. Ma a peggiorare le cose ci ha pensato un altro pezzo grosso del Pd, il governatore regionale Michele Emiliano, ex magistrato, il quale in un comizio ha raccontato che Decaro aveva fatto visita alla sorella del boss locale Capriati per chiedere protezione, frequentazione successivamente confermata da alcune foto.

Dopo le infiltrazioni mafiose e le amicizie pericolose, ecco lo scandalo dei voti comprati a Bari, tutto in casa Pd. I carabinieri avrebbero trovato perfino la lista degli elettori venduti, schedati per nome, età, telefono, sezione elettorale e corrispettivo versato. Un sistema pronto per essere riutilizzato. Il Pd piagnucola, ma a parti invertite sarebbe già in piazza a protestare. E il campo largo è un camposanto.

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