Una nuova base navale militare russa sulle coste della Cirenaica. A dare la notizia dirompente è stata Bloomberg il 5 novembre, parlando di un accordo messo a punto nella visita di Khalifa Haftar a Mosca lo scorso settembre. Si tratta di un progetto destinato a cambiare radicalmente il confronto strategico nel Mediterraneo: “il nostro Paese vedrebbe trasferito il braccio di ferro tra Casa Bianca e Cremlino a pochi passi da casa”, dice al Sussidiario Mauro Indelicato, giornalista de ilgiornale.it. La Nato dovrebbe elaborare una nuova politica di sicurezza nell’area e l’Italia sarebbe direttamente coinvolta; la nostra politica energetica nordafricana andrebbe riscritta. L’Est e l’Ovest libico sarebbero destinati ad allontanarsi, mettendo probabilmente fine all’ipotesi di una Libia unita.
Secondo Bloomberg l’accordo tra Mosca e Haftar per una base navale russa in Cirenaica, probabilmente a Tobruk, starebbe prendendo forma. Cosa sappiamo?
La notizia in sé non costituisce un mistero. Da anni sono noti i colloqui tra i russi e gli uomini di Haftar per impiantare una base navale nella porzione di Paese controllata dall’uomo forte della Cirenaica. Se però si dovesse adesso passare dalle indiscrezioni ai fatti, cambierebbe molto.
Quale sarebbe lo scenario?
Non solo Mosca potrebbe ormeggiare i propri mezzi a pochi passi dall’Europa, circostanza mai accaduta e mai pensata nemmeno durante la guerra fredda, ma potrebbe ovviamente spiare molto più facilmente le mosse della Nato. Cambierebbero gli equilibri, così come cambierebbe la percezione di sicurezza dell’Alleanza Atlantica nell’area mediterranea.
Che cosa cambierebbe invece per quella che ancora chiamiamo Libia?
La spaccatura tra Est e Ovest diverrebbe ancora più accentuata e quasi insanabile. L’Est del Paese graviterebbe sempre più nell’orbita russa, circostanza che porterebbe gli Stati Uniti in primis a richiamare attorno a sé il governo di Tripoli e quindi le istituzioni dell’Ovest della Libia. Si arriverebbe cioè quasi alla certificazione dell’esistenza di due Paesi ben distinti e separati, dalla diversa collocazione internazionale. Infatti non mi meraviglierebbe assistere a nuovi scontri armati.
Dove e perché?
Soprattutto nel sud della Libia, dove il controllo del territorio è conteso tra le principali forze in campo.
L’ex inviato speciale Usa in Libia J. Winer ha affermato che “tenere la Russia fuori dal Mediterraneo è stato un obiettivo strategico chiave” per gli Stati Uniti e poi ha parlato, appunto, di rischio di “spionaggio” per le basi Nato e l’Italia. Non ti sembrano preoccupazioni superate dagli eventi?
Sicuramente ha voluto lanciare un riferimento alla vicinanza tra la possibile nuova base russa e alcune infrastrutture Nato presenti nel nostro Paese. Washington si sta lanciando in un’affannosa corsa al recupero delle proprie posizioni nel Mediterraneo, dopo che durante l’amministrazione Trump l’area era passata di fatto in secondo piano.
Forse avrebbe dovuto dire: ridefinizione di uno spazio strategico dal quale gli Usa sono ormai esclusi.
Nulla è irreversibile in Medio oriente, specialmente quando si parla di Libia. Anche gli stessi accordi eventuali tra Mosca e Haftar non è detto diano vita a un nuovo impianto stabile nell’area, vista l’età avanzata dello stesso generale e la possibilità che il suo esercito si sfaldi in caso di una sua uscita di scena. Ma allo stato attuale, chi rischia maggiormente di essere considerato escluso è proprio il governo di Washington.
Erdogan e Putin dovranno collaborare. Oppure il nuovo assetto li vedrà rivali?
Collaboreranno da rivali, esattamente come accaduto in questi anni tanto in Libia quanto in Siria. Le forze da loro sostenute a volte vengono alle mani, ma poi basta una visita di cortesia di Erdogan a Sochi per trovare accordi capaci di durare anni.
A tuo avviso che cosa hanno proposto gli Usa ad Haftar? Un accordo tardivo? O altro?
Hanno parlato di petrolio e soldi: l’obiettivo degli Usa, per convincere Haftar ad allontanarsi da Mosca, è far comprendere al generale che la normalizzazione della Libia è più conveniente in termini economici e che da accordi con le autorità di Tripoli possono arrivare più benefici che guai. Più c’è stabilità, è il ragionamento fatto dagli statunitensi ad Haftar, più tutti possono fare affari con il petrolio e con il gas. Adesso spetta all’uomo forte della Cirenaica valutare la situazione.
Cosa significa per l’Italia una base militare russa a Tobruk?
Vuol dire veder trasformato lo specchio d’acqua compreso tra la Sicilia e la Libia in un’area di massima tensione in caso di contrasti tra Washington e Mosca. Di certo, non è molto positivo per il nostro Paese veder trasferito il braccio di ferro tra Casa Bianca e Cremlino a pochi passi da casa.
Cosa cambia per il “Piano Mattei” varato dal Governo nell’ultimo Cdm?
Non cambia nulla semplicemente perché, nel concreto, non è mai partito nulla. Il Piano Mattei esprime la volontà dell’attuale governo di tornare protagonisti nel Mediterraneo allargato, per farlo però occorre del tempo e occorrono le giuste condizioni. Attualmente queste condizioni non ci sono: il Medio oriente è frammentato e fragile, e l’Africa subsahariana è entrata in una nuova fase di instabilità. Di conseguenza non è possibile andare a impiantare in quest’area un piano politico ed economico di lungo periodo.
È ciò che vorrebbe fare il Governo.
Giorgia Meloni si è mossa molto sotto il profilo diplomatico e politico in Africa e nel Medio oriente, ha stretto in alcuni casi anche importanti accordi. Ma forse per adesso è possibile procedere solo Paese per Paese.
(Federico Ferraù)
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