Il professor Matteo Bassetti, primario di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, uno dei camici bianchi più famosi d’Italia, è stato intervistato stamane dal programma di Rai Uno, Buongiorno Benessere. La conduttrice dello show, Vira Carbone, ha incalzato il suo ospite su quali siano state le notizie più importanti della settimana, e Matteo Bassetti ha spiegato: “La notizia più importante è che la settimana che si è chiusa è stata quella con il più basso numero di morti covidda quando è iniziata la pandemia, questo è frutto dei progressi scientifici che abbiamo fatto, fra vaccini, farmaci e varie altre conoscenze. Siamo arrivati al punto più basso e questo è molto importante per il nostro Paese”.



Poi Matteo Bassetti ha parlato del long covid e a riguardo ha spiegato: “La seconda notizia importante è che sono stati presentati i dati dello studio Scorpio su un farmaco che si chiama ensiltrevil, che è un farmaco antivirale e che consente di ridurre in maniera significativa i sintomi del long covid, quindi abbiamo un’ulteriore arma per curare anche per questa lunga malattia che abbiamo imparato a conoscere”. Vira Carbone ha poi incalzato il professore dicendo di aver fatto fare recentemente il tampone alla figlia prima di partire per le vacanze invernali in quanto aveva 36,9 di febbre.



MATTEO BASSETTI: “STOP AL TAMPONIFICIO”

Matteo Bassetti ha redarguito la presentatrice dicendo: “Sbagliamo a farlo perchè oggi il covid è solo uno dei tanti micororganismi delle vie respiratorie. Se cerchi un solo virus hai fatto la diagnosi di uno solo, quindi se risulti negativo non significa niente. E’ arrivato il momento che la strategia del tamponifico italico, che è andata bene nel 2021 e in parte nel 2022, diventi anacronistico. Con la variante Kraken che sta circolando nel nostro Paese i tamponi rapidi rischiano di restituire il 50% dei falsi negativi. Se qualcuno ha un po’ di mal di gola o un po’ di febbre è meglio mettersi la mascherina oppure se ne stia a casa“.

Leggi anche

SANITÀ, MEDICI AGGREDITI/ Curare non basta, ai sanitari serve ancora una “vocazione”