“Basta alle quote rosa, per le donne sono una minorazione“. A dirlo è Eva Cantarella, storica che nella sua professione ha a lungo indicato la condizione femminile, la sua lotta per l’emancipazione e le sue conquiste. Intervistata da Il Fatto Quotidiano, oggi dice: “Siamo nella condizione di dire basta alle quote rosa, a questa formula che invece di liberare le donne statuisce, oltre ogni intenzione, una condizione di statica indispensabilità. Essere indispensabili per forza di legge è la negazione della forza e del potere della condizione femminile oggi in Italia“. La professoressa Cantarella ne è convinta: le quote rosa “sono divenute, per paradosso, una minorazione delle capacità femminili. Siamo così forti che non abbiamo bisogno di tutor e magari pure maschi. Esiste questa punta di ossessione verso l’esatta parità aritmetica tra l’uomo e la donna. Un fenomeno soprattutto mediatico, con fiumi d’inchiostro a commentare ogni temuta discriminazione“. La storica rifiuta l’etichetta di donna che assalta i diritti del proprio sesso e rilancia: “Chi le parla ha vinto il concorso da professore ordinario al tempo in cui l’università era un coperchio totalmente maschile. Figurarsi se non conosco quale e quanta discriminazione abbia patito la donna. Ma conosco la nostra forza, conosco le conquiste ottenute. Io voto una donna se è più brava di un uomo, voto due donne se ambedue sono brave così come scelgo un maschio se ritengo che sappia difendere meglio di altri i miei diritti“.
“BASTA QUOTE ROSA, SONO UNA MINORAZIONE”
Interpellata sui tanti casi di cronaca nera che riguardano povere donne uccise ormai a ritmo quotidiano, la Cantarella spiega: “E qui le donne sono ancora vittime indifese. Voglio augurarmi che sia la coda finale del patriarcato morente. La forza dell’identità femminile è tale che all’uomo non resta, per affermare il proprio potere, che ricorrere a quella biologica. Con la sua forza fisica intende regolare i conti“. La storica prosegue analizzazndo le ricadute per le donne del ritiro occidentale dall’Afghanistan: “La tragedia dell’Afghanistan è segnata quasi esclusivamente dall’imposizione del burqa. Converrà che è una violenza orribile. Non è in discussione la natura violenta di questa imposizione e la retrocessione della donna a oggetto, quanto il sospetto che la tragedia femminile afgana ci sollevi dalla domanda: perché il regime talebano è ancora vincente, e l’Occidente laggiù chi ha aiutato, chi ha arricchito, chi magari ha ucciso? C’è, ed è vero, una ipocrisia di fondo. Il burqa, segno della retrocessione femminile, come utile paratia per covare lo sdegno senza avanzare autocritica, senza indagare sui nostri errori. Biden se l’è cavata dicendo che gli Usa hanno smesso di esportare la democrazia. Ma la faccenda è più complessa. Molto tempo prima degli Usa sono stati i Sumeri a esportare la democrazia. Questo per la precisione. La storia insegna ma ha cattivi scolari, diceva Gramsci. Alle donne la storia di discriminazione ha insegnato tanto e ha contribuito a sostenere le lotte di liberazione. In sessant’anni abbiamo conquistato più di quel che si è visto nei duemilacinquecento anni precedenti. Questo è un fatto“. Chiosa per quanto riguarda l’elezione del prossimo presidente della Repubblica: uomo o donna al Quirinale? “Io sceglierei il più bravo. Se potesse proporre un nome? Se potesse rivivere Zenobia di Palmira senza alcun dubbio voterei lei. Zenobia. Sotto l’imperatore Aureliano, quando Roma amplia i suoi confini fino all’odierna Siria, Zenobia si fa nominare regina di Palmira. Sotto il suo comando la città rinasce e si espande. Aureliano ritiene che Zenobia sia una semplice portatrice d’acqua ma, quando s’accorge che la regina batte moneta, cambia idea“.