E’ venuto il momento di eliminare il report serale con la conta giornaliera dei nuovi infetti Covid, perché siamo ormai gli unici a farlo, di per sé non dice nulla e serve solo a creare nei cittadini ansia e confusione? Avanzata da alcuni infettivologi, la proposta, su cui anche il Comitato tecnico scientifico sarebbe d’accordo e alla quale lo stesso Governo starebbe pensando, divide però gli esperti.



“Sono assolutamente contrario” afferma l’epidemiologo Cesare Cislaghi, secondo il quale invece “c’è bisogno di una comunicazione istituzionale ben fatta accanto anche a una comunicazione indipendente, che dia garanzie di correttezza e di assenza di conflitti di interessi politici od economici. Deve essere interesse comune aiutare la gente a capire bene e correttamente tutto ciò che sta succedendo, perché l’unico modo per controllare l’ansia sia quello di avere reale consapevolezza dei fatti e delle possibilità per affrontare al meglio la situazione pandemica”.



Non è quindi ancora il momento di dire basta con il bollettino giornaliero dei contagi?

Assolutamente no. Attenzione, però: non si deve parlare di bollettino, ma di comunicazione dei dati.

Una differenza importante?

I dati non sono un bollettino, che invece può anche essere settimanale o bisettimanale perché fornisce la sintesi, la lettura, la spiegazione dei dati. E’ essenziale che le istituzioni forniscano dei report non solo “dotti”, come già oggi fa Epicentro dell’Istituto superiore di sanità, ma più leggibili e comprensibili, come si diceva una volta, anche dalla casalinga di Voghera.



E i dati?

Devono essere trasparenti, giornalieri e distribuiti.

E’ giusto che i dati vengano messi a disposizione solo della comunità scientifica?

Il problema è: da chi è formata la comunità scientifica? E’ una comunità formata da “esperti di regime”, cioè soggetti autorizzati ad avere i dati? Chi è scienziato? Io che sono in pensione non ho diritto ai dati perché non faccio più parte di un’università?

Fin dall’inizio dell’epidemia si è sempre discusso e polemizzato molto sulla qualità e bontà dei dati comunicati. Oggi ha ancora senso, dopo aver vaccinato più dell’80% della popolazione, dare il numero dei nuovi contagi?

Certo, perché l’epidemia si espande sui contagi. Dopo di che, se vogliamo dare, come noi da tempo chiediamo, anche la disaggregazione tra vaccinati e non vaccinati o anche tra vaccinati con una dose da più di 4 mesi, con due dosi da meno di 4 mesi, vaccinati con il booster, ben vengano. Avere dati più completi e disaggregati aiuta a capire meglio l’andamento dell’epidemia, non è certo buona cosa nascondere o negare quel poco di dati che ci sono. C’è bisogno di una comunicazione istituzionale ben fatta accanto anche a una comunicazione indipendente, che dia garanzie di correttezza e di assenza di conflitti di interessi politici od economici. Deve essere interesse comune aiutare la gente a capire bene e correttamente tutto ciò che sta succedendo, perché l’unico modo per controllare l’ansia sia quello di avere reale consapevolezza dei fatti e delle possibilità per affrontare al meglio la situazione pandemica.

C’è però chi sostiene che segnalare oggi giorno l’aumento dei contagi serva, invece, solo ad alimentare ansia e paura. Che cosa risponde?

Come ho avuto modo di scrivere in un articolo pubblicato da EpiPrev, se la conoscenza dei dati dà ansia, non pensano che l’assenza di dati creerebbe ancor più ansia e magari anche terrore? L’altro ieri c’erano duecentomila casi… quanti ce ne saranno tra cinque giorni? E se ieri non conoscevo nessun positivo e oggi ne ho scoperti tre nella mia cerchia di amici mi verrà di pensare che i casi si siano almeno triplicati. Senza dati le sensazioni, le paure, i dubbi produrranno mille fantasie anche cause di allarmi sociali. Se oggi le fake news sono numerose, domani senza dati diventerebbero molte di più.

Si può far capire anche alla casalinga di Voghera come si sta muovendo l’epidemia?

La casalinga di Voghera non va certo sul sito dell’Iss per vedere i dati, si affida ai mezzi di comunicazione: la tv, la radio, i giornali. E purtroppo, dopo due anni di epidemia, non tutti hanno ancora capito che i dati hanno una ciclicità settimanale che comporta che il lunedì, causa andamento dei tamponi, il numero dei contagi è per lo più la metà di quello medio settimanale, mentre ogni martedì si ascolta che c’è stata un’impennata di contagi.

Quali dati andrebbero forniti?

Premesso che non si può dare tutto, oltre al numero dei contagi separati per composizione vaccinale, bisognerebbe fornire i dati suddivisi per stato clinico: asintomatici, paucisintomatici, sintomatici lievi, severi o critici, le cinque categorie utilizzate dall’Iss. E non è detto che i bollettini siano sempre uguali tutti i giorni. Talvolta si possono aggiungere altre informazioni, per esempio la suddivisione per fasce d’età, per genere, per regione… Si può scegliere in base all’importanza del dato in quel preciso momento.

Anche i dati giornalieri sui decessi non avrebbero bisogno di una contestualizzazione migliore?

Sì, è uno dei punti che necessitano di spiegazioni. I morti di Covid sono soggetti cui è stato diagnosticato il contagio diversi giorni prima, mediamente tre settimane. E quindi se si vuol stimare la percentuale di decessi bisogna utilizzare la frequenza dei positivi di tre settimane prima. Non ha senso confrontare il numero di contagi con il numero dei decessi come se fossero eventi confrontabili perché avvenuti in contemporanea. E ciò vale anche per l’entrata in ospedale né l’accesso in terapia intensiva sono contemporanei con le diagnosi di nuovi positivi.

Le Regioni chiedono di contare solo i test di chi ha sintomi, lasciando fuori gli asintomatici dal conteggio dei positivi. Che ne pensa?

Le Regioni hanno un conflitto d’interesse enorme, che è quello del colore in cui possono essere collocate. Da tre-quattro mesi ormai ragionano solo come evitare di finire in zona arancione o rossa. Avere i dati divisi fra asintomatici o sintomatici va benissimo, ma non cancellarne una parte. I dati che vengono forniti sono pieni di errorini, ma sono buoni.

In che senso?

Qualche Regione ogni tanto non riceve o riceve in ritardo dai Comuni qualche dato, talvolta arrivati dati errati che vengono successivamente corretti. In un sistema che lavora in tempo reale e che deve processare un milione e 300mila tamponi al giorno è quasi impossibile che sia esatto all’unità. Ma chi è abituato a usare e leggere i dati sanitari sa che c’è qualche imperfezione minima, che però non incide sulla bontà dell’informazione.

Guardando da epidemiologo le curve in atto, come è messa l’Italia?

Bisogna sempre guardare la distanza percorsa, la velocità e l’accelerazione della pandemia.

Fuor di metafora?

La somma dei casi da inizio pandemia sono come i chilometri percorsi, i nuovi contagi giornalieri sono la velocità e l’accelerazione è il rapporto fra le velocità.

Ebbene, il cruscotto che cosa ci sta dicendo oggi sull’andamento della Omicron?

La velocità, cioè il numero dei nuovi contagi al giorno, è in aumento, ma l’accelerazione, che noi calcoliamo con l’indice RDt, è invece in calo: dieci giorni fa era 2,64, l’altro ieri era scesa a 1,38. In pratica, fino a 10 giorni fa 100 casi positivi dopo una settimana diventavano 264, oggi solo 138. Quando l’indice arriva a 1, significa che non accelera più.

Andiamo verso un picco o un plateau?

Difficile prevederlo, lo sapremo solo quando ci arriveremo. Ce lo diranno i dati, non le previsioni. Ora possiamo semplicemente dire che l’aspetto preoccupante è che la velocità aumenta sempre, perché aumentano i casi giornalieri, ma l’incremento è in decelerazione.

Chi oggi diffonde il virus? I vaccinati o i non vaccinati?

Il virus si diffonde in proporzione alla carica virale dei soggetti contagiati. In base alle conoscenze oggi disponibili, è più probabile che chi ha un’infezione meno controllata grazie anche ai vaccini abbia normalmente una carica virale maggiore. Ma anche i vaccinati possono contagiare.

E’ vero che la Omicron “alla fine ci troverà tutti”, come sostiene Anthony Fauci?

Che si possa diffondere all’intera popolazione, fatto che non si è mai verificato nelle epidemie precedenti, è difficile dirlo. La contagiosità di Omicron c’è, ma avere un RDt a 1,38 significa che alla diffusione del virus contribuiscono anche gli atteggiamenti sociali. Il picco che stiamo osservando non è tutta colpa della variante, anche con i nostri comportamenti abbiamo dato una mano al virus.

Quanto dobbiamo preoccuparci oggi?

Tenendo presente che l’intenzione generale è quella di non prevedere nuove restrizioni di contenimento, anche se l’Italia fa qualcosa in più degli altri paesi, è molto probabile che la diffusione del virus cali, perché non avremo quell’accelerazione legata allo shopping e ai ritrovi di Natale e Capodanno. Lo stesso RDt a 1,38 testimonia che oggi non è in atto un’elevata contagiosità sociale. La Lombardia, per esempio, è arrivata anche a un RDt 4, ma oggi è a 1,09.

In conclusione?

L’epidemia cresce, ma con una progressiva decelerazione, e produce meno esiti gravi rispetto alle ondate precedenti, però bisogna prestare comunque attenzione ai numeri assoluti. Quindi, vaccini per tutti, perché proteggono dagli eventi più severi, e mantenimento delle misure di precauzione, a partire dalle mascherine indossate nei luoghi al chiuso, dove anche a due-tre metri di distanza, in presenza di un soggetto infetto, è possibile contagiarsi.

(Marco Biscella)

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