Il secondo turno delle elezioni amministrative in Francia (il primo si era tenuto il 15 marzo scorso, poi il Covid ha costretto a un lungo rinvio) si è chiuso con una sonora disfatta di La Republique En Marche, il partito di Emmanuel Macron; un largo trionfo di verdi-ambientalisti, che si aggiudicano Lione, Bordeaux, Strasburgo, Poitiers, Besançon e Annecy; un’astensione alle stelle (non ha votato il 60% dei francesi); una frenata del Rassemblement National, che conquista solo la città di Perpignan. Il presidente Macron, preoccupato per l’esito del voto anche in vista delle presidenziali del 2022, ha cercato subito di reagire alla sconfitta: ieri mattina ha incontrato nei giardini dell’Eliseo i 150 francesi, estratti a sorte, che negli ultimi nove mesi hanno lavorato alla Convenzione dei cittadini del clima presentando le loro proposte, in massima parte accolte da Macron (“È tempo di accelerare la trasformazione ecologica, investiremo 15 miliardi nei prossimi due anni per favorire il processo”), poi nel pomeriggio è partito per Meseberg, in Germania, per un incontro bilaterale con la cancelliera Angela Merkel: al centro dei colloqui lo stallo sul Recovery fund e il semestre Ue a guida tedesca che si aprirà domani. Quanto peserà questa sconfitta sul futuro di Macron? Ci sarà un rimpasto di governo? Si complica la corsa per la rielezione all’Eliseo? E che ha significato ha l’onda verde che ha attraversato la Francia? Ne abbiamo parlato con Francesco De Remigis, giornalista, già corrispondente da Parigi per Il Giornale.
Il secondo turno delle comunali in Francia è stato un disastro per Macron. Quali sono le ragioni di questa sconfitta?
En Marche era nato come un puzzle di cittadinanza e vecchia politica, un incastro garantito dall’immagine pulita di Macron che nel 2017 poggiava su quattro solide gambe: pezzi del vecchio mondo che davano spessore ed esperienza al progetto, idee diverse da destra a sinistra e al centro, europeismo convinto e conti dello Stato in salute. Man mano l’equilibrio è venuto meno.
Si è perso per strada o l’hanno scaricato?
Ha cambiato uomini, ma in corso d’opera è stato scaricato da chi, per esempio l’ex ministro Nicolas Hulot, gli garantiva un’immagine di presidente attento alla transizione ecologica (mentre l’onda verde cresceva in Europa) ed è finito anche per distaccarsi dalla realtà degli enti locali: più per colpa del suo partito, incapace di scegliere vertici stabili sul piano locale e per nulla in grado di segnalare l’insofferenza motivata e crescente dei cittadini, quella deflagrata prima con i gilet gialli, per intenderci, e poi con una serie di scioperi in vari settori, non ultimo quello ospedaliero. C’è poi ancora irrisolto il nodo delle forze dell’ordine e dei loro caveat sull’uso della forza nei fermi di polizia.
E quanto ne escono ridimensionate anche in chiave europea la figura e la credibilità del presidente?
In chiave nazionale, la sberla va vista in prospettiva. Potrebbe non essere necessariamente un male per il presidente, più che altro danneggia il suo partito e quell’idea né di destra né di sinistra che Macron aveva innestato nel Dna di En Marche. Cambiare linea ora diventa necessario per l’Eliseo. Donne e uomini, anche. Ma non credo basti, vedi la disfatta di Parigi, dove ha tentato un innesto fallimentare in corsa. L’Europa può fargli buon gioco e non ha perso tempo per usare un nuovo goniometro. In casa, sta già misurando gli angoli da smussare nelle due anime forse da lui trascurate, quelle di sinistra e quelle verdi. Sarà un quinquennato a 180 gradi e non più uno a 360.
Cioè, si è già rialzato?
Si è messo all’opera, per così dire. Da banchiere d’affari ad artigiano della politica. Ieri davanti a 150 cittadini francesi riuniti all’Eliseo per la fase finale della Convenzione per il clima ha detto di credere nella crescita dell’economia francese, rallegrandosi con i partecipanti perché non predicano un modello di decrescita e spiegando che l’ambiente dev’essere “riportato al centro del modello di produzione”. L’idea è quella di usare gli insegnamenti del Covid-19 per ripensare i processi della globalizzazione. Non solo rilocalizzare sul piano sanitario, dalla produzione di dispositivi di protezione individuale al paracetamolo, ma rendere pan per focaccia a una Cina sempre più aggressiva sul piano economico e commerciale. Lo ha detto chiaro e tondo alla nazione e credo che a luglio qualcosa dirà anche al Consiglio europeo su questo punto.
Per Macron e En Marche quanto si complica la corsa alle presidenziali del 2022 con la sconfitta alle urne e l’avvicinarsi di un rimpasto di governo?
Macron ama le sfide. Credo che la sconfitta nei comuni faccia da pungolo al quinquennato per riorientarlo, anche cambiando metodo di governo. Si vedrà entro pochi giorni, col rimpasto, quali innesti farà nell’esecutivo. Non credo, però, si debba più pensare al “partito del presidente”, talmente si è diviso En Marche sia in Parlamento sia anche in queste elezioni locali. Più che altro mi pare che Macron stia costruendo un discorso incentrato su se stesso e sulla personale capacità di fare, ribaltando il tavolo del partito e inserendo nuovi sostegni che puntellino la sua voglia di ricandidarsi: la transizione ecologica, l’attenzione al sociale, alla vita di tutti i giorni. Più ascolto dei cittadini, ma meno cittadini inesperti in posti chiave o di governo.
Cioè?
Il primo veto alle 400 pagine di proposte della Convenzione cittadina per il clima riguarda la proposta di tassare i dividendi del 4% nelle società che vantano più di 10 milioni di utili l’anno per finanziare la transizione ecologica. “Ridurrebbe le nostre possibilità di attrarre investimenti”, ha detto ieri Macron. Sì a politiche più ecologiste. Ma senza tassare chi produce. Si può dire che ha “ripreso” il volante della sua macchina politica con una sterzata a neppure 24 ore dai risultati delle comunali. È di nuovo sotto i riflettori. Da settimane fa discorsi meno elevati e forse ascolta anche di più i suoi (nuovi) consiglieri. Guarda caso, sono soltanto 3 le proposte della Convenzione cittadina sul clima che non ha accettato. Fra queste, la più controversa, quella di abbassare a 110 km/h il limite di velocità sulle autostrade.
Al contrario di Macron, il primo ministro Philippe ha ottenuto un notevole successo a Le Havre. Tra i due i rapporti non sono buoni. Quanto potrebbe costare a Macron e al suo esecutivo una defenestrazione di Philippe?
Per Philippe, successo alle urne e test nazionale superato. La sua elezione salva l’onore della maggioranza e conferma l’apprezzamento che i sondaggi nazionali di gradimento attribuivano al premier, ben al di sopra di quello che i francesi riservano a Macron. È stato sistematicamente presente in Parlamento per riferire del suo operato durante la crisi, si è assunto colpe che non erano neppure sue e ha mostrato ai francesi l’immagine di un premier istituzionale, di polso, rispettoso delle procedure e sempre al lavoro. Non ha guardato ai sondaggi. Una strategia quasi kamikaze, ma è riuscito a sopravvivere e a vincere. Cacciarlo ora, per Macron, sarebbe durissima, ma tutto può succedere. Philippe viene dai ranghi della destra gollista. Piace a molti, ma non a tutti. Secondo l’ultima rilevazione Harris Interactive realizzata dopo la sua vittoria di domenica, il 55% dei francesi vuole che resti al suo posto al governo.
Le comunali hanno sancito la grande cavalcata dei verdi e degli ambientalisti, che hanno vinto a Bordeaux, Lion e Lille. È un voto soprattutto di protesta o c’è altro?
A Lille non hanno vinto, anzi l’ha spuntata la signora delle 35 ore Martine Aubry per un pugno di voti, che con loro non si era alleata. Il vero segnale della disfatta di Macron sul piano locale viene da Lione, che ha voltato pagina e faccia all’ex sindaco, storico primo cittadino e soprattutto mallevadore di En Marche e padre putativo della candidatura di Macron all’Eliseo: Collomb, già ministro dell’Interno di Macron. Non un bel segnale. Resta da vedere se i nuovi verdi, spesso perfetti sconosciuti, saranno in grado di strutturarsi.
Anche il Rassemblement National di Le Pen non ha ottenuto grandi risultati, avendo conquistato solo la città di Perpignan. I nazionalisti hanno perso la loro forza propulsiva?
Tutt’altro. Marine Le Pen ha fatto un investimento in qualità, vincendo in una grande città. Perpignan non era una vittoria scontata, specie al secondo turno. Il candidato lepenista, che per inciso non è uno sconosciuto ma l’ex compagno della presidente Le Pen e già vicepresidente del partito, apre la strada a un rilancio del movimento. È riuscito ad allargare l’elettorato e soprattutto a rompere con la dittatura del cosiddetto fronte repubblicano che al secondo turno coalizzava destra e sinistra contro il candidato dell’estrema destra. È la prima città di oltre 100mila abitanti ad essere guidata dai lepenisti dal 1985 (Tolone). Ed è un ottimo biglietto da visita per il 2022.
L’astensione è stata altissima. Come va interpretato questo segnale di disaffezione dei francesi?
L’astensione in questa tornata potrebbe non ripetersi alle presidenziali. Questo, almeno, sembra sperare Le Pen. Due anni fa, pochi avrebbero scommesso per esempio sulla rinascita della socialista Anne Hidalgo. Il vecchio mondo cosiddetto sembrava destinato a scomparire anche a Parigi, dove Macron alle presidenziali aveva ottenuto un risultato strabiliante. Invece ha stravinto lei dove aveva stravinto Macron. Tutto può succedere da qui al 2022.
L’Eliseo teme Marine Le Pen?
Teme forse la capacità di Le Pen di ascoltare il popolo. Dall’opposizione è sempre più facile. In tre anni è già cambiato qualcosa. Ieri, per esempio, all’Eliseo, in un maxi-giardino inverdito da un prato appena innaffiato, Macron ha dato il la a quella che vuol essere la svolta del suo Quinquennato. Associando plasticamente i cittadini all’attività di governo, si è impegnato a trasmettere al governo “la totalità” delle 149 proposte della Convenzione sul clima. Riscaldamento climatico e giustizia sociale dovrebbero salire in cima all’agenda. L’élite ha aperto i cancelli del palazzo. Vedremo se darà qualche risultato o se sarà l’ennesimo bluff. Intanto il verbo presidenziale è chiaro.
Qual è?
“Mai la transizione ecologica dovrà essere fatta a scapito dei comuni, delle regioni che sono di più difficile accesso”. Un cambio totale di rotta rispetto al periodo dei gilet gialli. Tanto che stavolta ha deciso di rinviare il dibattito sui 110 km/h in autostrada, cioè la proposta ecologista che ha suscitato le proteste delle associazioni di automobilisti e di molti politici locali. Per non scontentare i Verdi, però, ha annunciato 15 miliardi di euro in più in due anni per la transizione ecologica del Paese. Una risposta immediata al successo dei Verdi alle comunali. Ha aperto anche la strada a un secondo referendum, “dal 2021”, sulla base dell’articolo 11 della Costituzione su alcuni dossier.
E per il 2022?
Mettiamola così: chi avrà i Verdi in seno potrà vantare un décolleté politico all’altezza della vittoria. Ma non è detto che sia Macron ad accontentarli. Potrebbero proporre un loro candidato autonomo. E sparigliare.
(Marco Tedesco)