La Banca centrale europea ieri ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base, portandoli al 4% e, durante la conferenza stampa, la Presidente Christine Lagarde ha anticipato che a fine luglio con tutta probabilità ci sarà un nuovo incremento del costo del denaro.
L’Eurotower è cosciente che “i passati incrementi dei tassi di interesse decisi dal Consiglio direttivo si stanno trasmettendo con forza alle condizioni di finanziamento e stanno gradualmente influenzando tutta l’economia”, ma ritiene che “le condizioni di finanziamento più restrittive sono una ragione fondamentale per la quale l’inflazione dovrebbe ridursi ulteriormente verso l’obiettivo, poiché ci si attende che queste frenino in misura crescente la domanda”.
Come spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss, quello di ieri «è l’ottavo rialzo consecutivo dei tassi di intervento dallo scorso luglio, ma non ancora l’ultimo. La Presidente Lagarde ha alluso almeno a un ulteriore rialzo il prossimo mese e sottolineato che la postura della Bce si manterrà restrittiva finché l’outlook inflazionistico non si stabilizzerà. Infatti, le previsioni inflazionistiche rese note ieri confermano la persistenza della spinta inflativa, per quanto riguarda la sua componente core».
Cosa dicono le nuove previsioni macroeconomiche della Bce rese note ieri?
Nella nuova batteria previsionale divulgata ieri, l’inflazione per il triennio è stata lievemente ritoccata all’insù, confermando la persistenza di pressioni inflative che si estendono al medio periodo. Alla fine del triennio previsionale, nel 2025, l’inflazione dovrebbe attestarsi per la Bce al 2,2%, in aumento di un decimo di punto rispetto al round previsionale dello scorso marzo. Dato l’outlook, l’Eurotower continuerà a restringere, nonostante la debole dinamica congiunturale. A fronte, dell’aumento, sia pure lieve, delle previsioni di inflazione, i dati del Pil sono stati anch’essi rivisti, ma in direzione simmetricamente opposta, all’ingiù. Esistono, tuttavia, due aspetti che vanno enfatizzati nella linea di ragionamento formulata ieri da Lagarde.
Quali?
Il primo è che non vi è una spirale prezzi-salari – aspetto, questo, che elimina un’ulteriore fonte di pressione sulla dinamica dei prezzi; l’altro è che il continuo deterioramento delle condizioni del mercato del credito dovrebbe trovare maggiore spazio nelle valutazioni del Consiglio direttivo nelle prossime riunioni. Già nel comunicato stampa di ieri, questo aspetto è stato enfatizzato rispetto a quelli precedenti, segno che la trasmissione della politica monetaria sta lavorando bene. In altre parole, ci stiamo avvicinando al tasso terminale, anche non siamo ancora arrivati a destinazione, come ha detto la Presidente Lagarde.
La Fed ha intanto lasciato invariati i tassi. Questa scelta come può incidere sulle prossime mosse della Bce?
Negli Stati Uniti, la Fed si è presa una pausa l’altro giorno, anche se non sappiamo quanto lunga, lasciando i tassi di intervento invariati per la prima volta da più di un anno. Tuttavia, tanto per mettere la decisione in prospettiva, la Fed ha già effettuato dieci rialzi consecutivi dal marzo dello scorso anno per un aumento cumulativo dei tassi di intervento di ben cinque punti percentuali. Come la Bce, ritiene che l’inasprimento del mercato del credito contribuisca a stabilizzare l’outlook inflazionistico. Peraltro, il quadro congiunturale si è significativamente indebolito, prevedendo la Fed una crescita dello 0,4% nell’anno in corso, a fronte dell’1% previsto lo scorso marzo. Anche la Fed, come la Bce, non ha raggiunto il punto di destinazione finale, ma ha deciso di mettersi nella condizione di valutare appieno i rialzi decisi sinora. Occorre considerare, infatti, che una pausa non equivale ovviamente a una riduzione, ma presuppone che i tassi attuali, già su livelli storicamente elevati, dispieghino appieno il loro potenziale nello stabilizzare le aspettative di inflazione.
Quali percussioni ha per l’Italia quanto deciso dalla Bce?
La riunione di ieri è stata abbastanza scontata nell’esito e non vi sono particolari ripercussioni dirette sull’Italia, il cui outlook macroeconomico rimane, nel complesso, favorevole sospinto dalla positiva dinamica di crescita, recepita anche dalle agenzie di rating, dalle istituzioni multilaterali e, non ultimo, dallo spread tra i differenziali dei tassi con la Germania. Non bisogna, tuttavia, confondere le prospettive congiunturali – appunto, favorevoli – con quelle di più lungo periodo, per le quali rimane l’esigenza per il Governo di favorire un aumento della crescita potenziale e l’attuazione degli investimenti previsti dal Pnrr, mantenendo una postura di politica fiscale orientata alla massima prudenza.
La situazione economica (l’Eurozona in recessione tecnica nel primo trimestre) e inflattiva non dovrebbe portare anche l’Ue a prendere decisioni importanti?
Pur restando debole la dinamica congiunturale, è previsto un miglioramento delle prospettive già a partire dai prossimi mesi. Coerentemente con questa valutazione, la Bce prevede che, a fronte di una crescita dello 0,9% del Pil per l’Eurozona nell’anno in corso, la crescita aumenti all’1,5% il prossimo anno, e all’1,6% nel 2025. La disoccupazione rimane ai minimi storici, mentre le ore lavorate stanno gradualmente tornando ai livelli pre-pandemici. Infine, i prezzi delle materie energetiche sono quelli che stanno sospingendo da diversi mesi la riduzione nell’indice generale dei prezzi. Ne discende, pertanto, che la trazione a favore di nuove, importanti iniziative europee in campo economico-finanziario sia meno forte, almeno stante l’attuale quadro. Ne sapremo, comunque, di più in occasione del prossimo summit europeo in cui si dovrebbe discutere anche della proposta per un fondo sovrano europeo sostenuta, anzi richiesta, dall’Italia.
(Lorenzo Torrisi)
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