In un’intervista al Financial Times, Klaas Knot, Presidente della Banca centrale olandese e membro del Consiglio direttivo della Bce, ha spiegato che l’Eurotower ha appena superato la metà del suo ciclo di inasprimento e continuerà ad aumentare i tassi perché “il rischio che facciamo troppo poco è ancora il rischio maggiore”.



Intervistata dal Frankfurter Allgemeine Zeitung, Isabel Schnabel ha, invece, risposto a una domanda relativa alle critiche giunte da Roma sulle ultime decisioni della Banca centrale europea, evidenziando che “possiamo aspettarci ulteriore opposizione e dobbiamo resistere. È proprio per questo che le banche centrali sono indipendenti”. Il membro tedesco del comitato esecutivo della Bce ha aggiunto che “ai Governi in generale non piacciono molto gli aumenti dei tassi. Pesano sulla posizione di bilancio perché rendono più costoso emettere nuovo debito”. E, come comunicato la scorsa settimana dal Tesoro, nel 2023 l’Italia dovrà emettere titoli di stato a medio lungo termine per un ammontare tra i 310 e i 320 miliardi di euro.



Per meglio comprendere le dichiarazioni dei due esponenti della Bce, Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, parte da una considerazione di ordine generale: «Le banche centrali sistemiche stanno assumendo una postura che si va connotando come sempre più restrittiva di fronte a un’inflazione che si sta rivelando più persistente del previsto. Nell’ultima batteria di previsioni che la Bce ha rilasciato proprio in concomitanza con la riunione del Consiglio direttivo di dicembre emerge che il prossimo anno l’inflazione nell’Eurozona rimarrà sopra il 6%, nonostante una politica monetaria, appunto, sempre più restrittiva».



Non basta quindi il recente calo del prezzo del gas per ipotizzare un cambio di rotta dell’inflazione…

Questo calo si è manifestato nelle ultimissime settimane. È senz’altro uno sviluppo favorevole, ma dobbiamo vedere se perdurerà e con quali tempi si trasmetterà sugli indici dei prezzi al consumo. Tornando alle previsioni sopra menzionate, l’inflazione nell’Eurozona si manterrà sopra il target inflazionistico del 2% per tutto il prossimo triennio. Questo ha agevolato all’interno del Consiglio direttivo della Bce la posizione dei falchi, che hanno richiesto e ottenuto una posizione ancora più restrittiva. Tanto è vero che anche nell’Eurozona, sulla scorta di quanto abbiamo già osservato negli Stati Uniti, si va sviluppando un dibattito non solo sulla velocità di rialzo dei tassi, ma anche sul livello del punto di arrivo. Ne abbiamo avuto riprova nelle dichiarazioni di Knot, dopo le quali alcuni operatori di mercato cominciano ad aspettarsi che il prossimo anno i tassi possano arrivare al 4% e non al 3,5% come precedentemente ipotizzato.

Tutto questo cosa implica, soprattutto per l’Italia?

Attualmente il rendimento dei Btp a dieci anni è pari al 4,6%. Se l’aspettativa del punto di arrivo del rialzo dei tassi dovesse crescere dal 3,5% al 4% o anche oltre, probabilmente aumenterebbe anche il rendimento richiesto sui nostri titoli di stato con evidenti ripercussioni sfavorevoli sul costo medio del debito che quest’anno ha sfiorato il 3% del Pil. Questo rischierebbe di intensificare l’attenzione dei mercati sull’Italia, quindi è importante che l’azione del Governo sia focalizzata su due obiettivi: da un lato, mantenere la responsabilità fiscale e, dall’altro, concentrarsi sulla crescita e le riforme che tale agenda richiede, perché solo con un Pil in aumento si può garantire la sostenibilità del debito nel medio lungo periodo e stabilizzare le aspettative dei mercati.

Tra l’altro l’anno prossimo il Tesoro dovrà emettere titoli a medio lungo termine per oltre 310 miliardi di euro.

Proprio così. Come spiega il documento “Le linee guida della gestione del debito pubblico 2023” diffuso dal Dipartimento del Tesoro del Mef, per il prossimo anno sono previste emissioni lorde significative, per un ammontare superiore al 15% del Pil. La maggior parte servirà a rifinanziare titoli in scadenza, mentre le emissioni nette ammontano a 50-60 miliardi. Tra l’altro, il Tesoro giustamente include nella gestione del debito pubblico i prestiti del pacchetto Ngeu di cui l’Italia beneficerà il prossimo anno, pari a circa 35 miliardi, che vanno in deduzione rispetto alle emissioni nette, che altrimenti sarebbero state intorno ai 90 miliardi.

Dunque è importante che questi fondi arrivino.

È importante che il dialogo con le istituzioni europee si mantenga fluido, proficuo, evitando antagonismi, ma allo stesso tempo utilizzando tutte le aperture disponibili per ricalibrare e aggiornare il Pnrr. Resta fondamentale, poi, come il presidente del Consiglio aveva già sostenuto ai tempi in cui era all’opposizione, che i progetti per i quali questi fondi vengono ricevuti procedano secondo il calendario stabilito. Un altro aspetto importante del documento del Tesoro è che mostra che ci saranno più emissioni nel segmento a lunga, il che implicitamente testimonia di un merito di credito di cui l’Italia intende correttamente avvalersi. Questo è un elemento positivo da registrare, ma allo stesso tempo è importante che le azioni del Governo siano volte a consolidare ulteriormente questo merito di credito che i mercati finanziari riconoscono al nostro Paese. Va anche detto che con i tassi crescenti, aumenta l’appetibilità dei titoli del debito pubblico presso le famiglie. È importante, quindi, che il Tesoro cerchi di diversificare quanto più possibile gli investitori presso i quali è classato il debito pubblico, valorizzando il segmento retail.

Come sta già facendo con il Btp Italia…

Sì, ma credo debba farlo in maniera più decisa. Il contesto di alti tassi di interesse che ci sarà nel 2023, infatti, rende più appetibili i titoli di stato presso le categorie di investitori retail rispetto al recente passato. Si tratta di un aspetto importante, poiché il retail tende a conservare i titoli fino alla loro scadenza naturale rispetto a investitori istituzionali che invece sono più opportunisti nel valorizzare anche i piccoli differenziali di mercato. E tutto questo consente di stabilizzare meglio il collocamento dei titoli.

Bisognerà allora cercare di rendere “sicuri” questi titoli per il segmento retail, vista la tendenza a tenerli fino a scadenza.

La percezione di sicurezza è chiaramente già implicita, nel senso che l’Italia è un Paese che non può andare in default e non può ristrutturare il proprio debito. I titoli devono essere onorati. Piuttosto potrebbe crearsi un problema legato al fatto che lo spostamento dei risparmi delle famiglie può determinare un’erosione della base dei depositi per il sistema bancario italiano. Il Tesoro e le banche si troveranno a essere “concorrenti” per quanto riguarda l’impiego del risparmio italiano. Detto questo è però importante che il risparmio delle famiglie affluisca sui titoli di stato, soprattutto per mitigare il rischio di speculazioni, di pressione che eventualmente i mercati potranno decidere di fare sull’Italia.

C’è questo rischio?

Il rialzo dei tassi, soprattutto se dovesse diventare generalizzata l’aspettativa di un punto di arrivo più elevato, probabilmente indurrà molti investitori a richiedere un premio per il rischio più alto e, quindi, potrebbe esserci un incremento dello spread. Va, pertanto, posta cautela sia nelle politiche del Governo che nella gestione del debito pubblico cercando di privilegiare il segmento retail e prevenire sul nascere eventuali pressioni speculative.

Vuol dire, quindi, che la prudenza che ha contraddistinto la Legge di bilancio deve diventare il filo rosso delle scelte fiscali del Governo nel 2023?

Il Governo ha tenuto una postura di prudenza fiscale che ha contribuito ad accrescerne la credibilità. Occorre, quindi, proseguire sulla strada della responsabilità fiscale, sapendo però che da sola non basta, per un Paese caratterizzato da un elevato livello di debito pubblico come il nostro, a stabilizzare le aspettative di sostenibilità del debito in un contesto di alti tassi di interesse. Dunque, una volta approvata la Legge di bilancio, l’attenzione del Governo andrà concentrata su un’agenda per la crescita, fatta di riforme, di incentivazione alle attività economiche, modernizzazione dell’impianto regolamentare, sburocratizzazione, perché il segnale da trasmettere è che ci deve essere una discontinuità nel sentiero di crescita della nostra economia, perché solo questo può stabilizzare il merito di credito dell’Italia.

Se l’Italia l’anno prossimo dovrà emettere così tanti titoli di stato, in condizioni non facili, vuol dire che in precedenza non si è colto un momento più favorevole per le emissioni?

Che i tassi di interesse sarebbero saliti e che sarebbe venuto meno il supporto della Bce di cui l’Italia ha goduto per oltre un decennio sul mercato secondario dei titoli di stato era noto già da diversi mesi. Credo che questa sia una delle tante eredità lasciate all’attuale Governo, forse nell’intento di condizionarlo e di frenarne l’impulso.

Un’ultima cosa. Lei ha detto che l’Italia è un Paese che non può ristrutturare il proprio debito. Tuttavia da tempo aleggia lo spettro di una ristrutturazione del nostro debito…

Credo che per un Paese del G7, membro fondatore dell’Ue e dell’Eurozona, di cui è economia sistemica, la ristrutturazione sia l’extrema ratio e non una prospettiva di lavoro utile. Lo sforzo e il capitale politico devono essere, invece, concentrati sull’agenda per la crescita, perché è solo attraverso una crescita sostenuta che l’Italia è in grado di garantire la sostenibilità del suo debito a medio lungo termine. Le premesse per riuscirci ci sono tutte, il Pnrr rappresenta un volano formidabile e su questo, credo, debbano concentrarsi anche le attenzioni delle istituzioni europee, mettendo fine peraltro anche ad atteggiamenti stigmatizzabili.

A che cosa si riferisce?

Al fatto che l’Italia sia il solo Paese a venir costantemente menzionato nelle conferenze stampa della Presidente Lagarde. Anche nell’intervista della Schnabel al quotidiano tedesco forse più di punta viene menzionato un solo Paese. Sappiamo bene, invece, che la Bce dovrebbe esprimersi con riguardo al complesso dell’Eurozona e non a un singolo Paese.

(Lorenzo Torrisi)

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