Si sta parlando non poco dell’intervista a Le Journal du Dimanche con cui di fatto Christine Lagarde ha ribadito, come aveva fatto nei mesi scorsi, l’impossibilità di procedere a una cancellazione di parte del debito pubblico detenuto dalla Bce attraverso i titoli acquistati nell’ambito dei programmi di Quantitative easing, perché sarebbe in contrasto che le disposizioni dei Trattati europei. Tuttavia la numero uno dell’Eurotower ha affrontato temi ugualmente importanti, anche per i destini del nostro Paese, che rischiano di passare in secondo piano e che abbiamo approfondito con Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, di cui Lagarde è stata Direttore generale.



Ci può dire anzitutto cosa pensa di questo no alla cancellazione del debito che peraltro appare scontato, ma che trova comunque molta enfasi mediatica?

La Bce non può procedere alla cancellazione del debito chiesta da cento economisti europei con una petizione, dopo che ne aveva già parlato il Presidente del Parlamento europeo Sassoli. E imporre all’attenzione mediatica il tema rischia solamente di creare dei problemi alle innovazioni che Lagarde sta pragmaticamente cercando di mettere sul tappeto e di cui ha anche parlato nell’intervista, nella quale, da tecnocrate e con una certa abilità politica, cerca di intervenire sul dibattito relativo al rischio che i vincoli di bilancio europei vanifichino i segnali di ripresa che in alcuni Paesi, come l’Italia, saranno sicuramente più timidi che in altri.



Lagarde a questo proposito dice di aspettarsi la ripresa dell’economia nel 2021 e di ritenere che i livelli di attività economica pre-pandemici non saranno ritrovati prima dell’anno prossimo, quando peraltro scadrà il programma Pepp della Bce.

Sì, la Presidente della Bce cita anche il rimbalzo dell’economia francese nel terzo trimestre del 2020 (+18,5%) per rafforzare l’idea che già quest’anno si vedranno segnali importanti di ripresa. Un Paese come l’Italia, che prima della pandemia non aveva ancora recuperato i livelli di reddito pro capite precedenti la crisi del 2008-09, potrebbe quindi facilmente trovarsi in una situazione strutturale di svantaggio rispetto alle altre economie dell’Eurozona. L’Eurotower non può far molto su questo versante, perché, come Lagarde stessa ricorda, è sbagliato attribuire alla politica monetaria la capacità di generare crescita. Quest’ultima dipende principalmente dai Governi nazionali.



Per alcuni Paesi, quindi, la crisi finirà prima, mentre altri non si saranno ancora del tutto ripresi. Cosa bisognerà fare a quel punto?

Lagarde fa un’affermazione importante, perché evidenzia la necessità di non ripetere gli errori del passato chiudendo di colpo i rubinetti delle politiche di bilancio e della politica monetaria.

Perché è così importante questo passaggio?

In primo luogo, perché Lagarde non ha competenze dirette sulla politica di bilancio. Il fatto che dalla Bce, alfiere della stabilità e delle politiche rigoriste, arrivi un’affermazione del genere è indicativa della presenza a livello europeo di un dibattito, di cui su queste pagine abbiamo parlato in più occasioni, per cercare di creare un sentiero di maggiore sostenibilità del quadro dei vincoli europei per l’economia, soprattutto in quei Paesi in cui i segni della ripresa si manifesteranno in modo più debole. Sarebbe infatti contraddittorio, come spiega Lagarde, aprire i rubinetti emergenziali del Pepp, del Next Generation Eu e poi non mettere in condizione i Paesi di utilizzare in modo profittevole queste risorse straordinarie a causa di vincoli ormai vetusti, considerando che sono stati introdotti non solo prima del Covid, ma anche della crisi finanziaria internazionale del 2008-09.

C’è quindi un messaggio politico nelle dichiarazioni di Lagarde che rischia di passare inosservato…

Lagarde evidenzia la necessità di offrire alle economie un “sostegno flessibile”, anche per quel che riguarda le politiche di bilancio, da diminuire man mano che la ripresa sarà più robusta. L’importanza di questa richiesta la vediamo anche pensando al Recovery plan italiano messo a punto dal Governo uscente, laddove le risorse a prestito non verranno utilizzate interamente per finanziare nuovi investimenti, ma andranno in buona parte verso piani già in essere o programmati, in modo da risultare coerenti con la reintroduzione delle regole del Patto di stabilità, temporaneamente sospeso. Dunque un intervento straordinario come il Next Generation Eu rischia di essere in parte vanificato dalla reintroduzione poco lungimirante di vincoli europei vetusti.

A proposito del Recovery plan italiano, proprio ieri in un’audizione alla commissione Bilancio della Camera lei ha evidenziato la necessità di una sua profonda revisione. Perché?

Il piano presentato alle Camere non è all’altezza delle attese che sono state generate da questa importante iniziativa europea. Ha prevalso un approccio aggregativo, additivo, rispetto a uno strategico che viene invece richiesto nello spirito del Next Generation Eu. L’impressione è che l’enorme quantità di risorse venga dispersa in mille rivoli, senza veramente una visione strategica all’altezza. C’è poi un elemento importante da sottolineare rispetto al Pnrr messo a punto dal Governo uscente.

Quale?

La digitalizzazione viene presentata come una sorta di panacea. Certamente può portare a un salto di competitività ed efficienza nell’economia, ma può anche creare precarietà nella forza lavoro. Lungi dal dire che la digitalizzazione è un male, occorre quindi una visione strategica con cui essa verrà applicata. Da questo punto di vista occorre anche un contesto di level-playing field, in modo che non ci siano distorsioni regolamentari e fiscali per cui svolgere un’attività in modo digitale porti a pagare meno tasse o a versarle in altri Paesi, mentre se la si realizza in modo non digitale si viene tartassati. Si parla molto di riforma dell’Irpef, sicuramente l’imposta più importante dal punto di vista numerico ed elettorale, ma è molto più importante riformare il contesto impositivo così da non non creare nuove asimmetrie.

Riscrivere il Pnrr sarà la sfida più importante nel breve termine per il nuovo Governo?

È vero che il tempo residuo è limitato, ma è anche vero che il piano che ci chiede l’Europa non è “a peso”, nel senso che quel che conta è la visione strategica sottostante, che, se presente, si può traslare velocemente nel piano stesso. Confido che il nuovo Governo possa avere gli strumenti, anche intellettuali, per ovviare alle carenze dell’attuale versione del Pnrr.

Si può essere fiduciosi anche sul fatto che il nuovo Governo si impegni perché a livello europeo ci sia flessibilità auspicata da Lagarde sulle regole del Patto di stabilità?

La credibilità del Presidente incaricato è fuori discussione. L’auspicio è che possa portare avanti questo impegno sulla base della propria credibilità personale. Mi auguro anche che la maggioranza politica che lo sosterrà sia, nei fatti, non solo nelle parole, all’altezza dello standing personale del Premier cui voterà la fiducia.

Un’ultima cosa: Lagarde, nella sua intervista, sembra anche aprire la porta all’inclusione nel mandato della Bce di criteri “green”. Vuol dire che potrebbero esserci nuovi strumenti e iniziative di politica monetaria?

Uno dei punti di forza del Next Generation Eu è rendere mainstream la dimensione verde come elemento trasversale della nostra economia. Lagarde, cogliendo un’evoluzione del pensiero economico, dice fondamentalmente che non possiamo parlare di transizione ecologica e poi relegarla in un ghetto per soli ambientalisti. Tutti dobbiamo fare un salto di qualità nell’introdurre nei nostri meccanismi di valutazione quotidiani questa dimensione ecologica. E questo salto deve farlo anche la Banca centrale.

In che modo?

Mi aspetto che ci possano essere dei programmi innovativi con cui si incentivino le banche a concedere prestiti a quelle aziende che sono in prima fila nella transizione ecologica. Una sorta di Tltro verde.

(Lorenzo Torrisi)

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