La stretta della Bce con l’aumento dei tassi di 0,75 punti è stata, in buona sostanza, digerita dalle Borse, anche perché i mercati si aspettavano questo irrigidimento della politica monetaria, alla luce di un’inflazione la cui corsa non è stata frenata per tempo, anzi. Il rialzo si tradurrà molto probabilmente in un duro colpo al Pil e al debito pubblico italiani. Ma i pericoli per il nostro Paese non finiscono qui. I più insidiosi, come fa notare in questa intervista Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, si annidano nelle fugaci parole che la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ha dedicato in conferenza stampa proprio all’Italia. Parole che però non sono passate inosservate, perché foriere di nuvoloni neri. “Sul Tpi – osserva Lombardi – Lagarde ha implicitamente confermato la massima discrezionalità in capo alla Bce nella sua attivazione e in più non ha escluso che l’attuale politica di reinvestimenti dei titoli che giungono a scadenza e già acquistati sotto l’ombrello dei programmi non convenzionali del Pepp e dell’App possa essere dismessa”.
Giovedì la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha annunciato il rialzo di 75 punti base sui tassi di intervento. Eppure le aspettative erano per un rialzo più contenuto almeno sino a qualche settimana fa. Ci aiuta a capire cosa è successo?
Il rialzo di 75 punti base è la risposta a un’inflazione crescente nell’Eurozona confermata dagli ultimi dati disponibili. Ad agosto, il tasso tendenziale è aumentato al 9,1% dall’8,9% in luglio, attestandosi ancora una volta al di sopra delle aspettative di mercato, che ne prevedono un ulteriore rialzo al 10% nei prossimi mesi.
Con quali effetti?
Tali sviluppi hanno creato i presupposti per un rialzo superiore alle attese che la stessa Bce aveva veicolato, peraltro, solo poche settimane fa. In questo, hanno giocato un ruolo non solo la dinamica crescente del tasso d’inflazione, ma anche la sua persistenza nel tempo, e il fatto che tale dinamica è sospinta, ora, da numerose componenti del paniere, oltre a quelle legate all’energia e all’agroalimentare, sebbene queste ultime continuino ad imprimere l’impatto maggiore.
Questo non crea a suo avviso un problema di credibilità della Bce con dichiarazioni che continua a rivisitare e ad aggiornare, inseguendo l’evoluzione del contesto?
In effetti, questa è un’impressione legittima. A molti analisti, la Bce è parsa passiva soprattutto nel sottovalutare l’impatto inflazionistico dell’andamento del mercato dell’energia, manifestatosi peraltro ben prima dell’invasione russa in Ucraina, nonché la sua persistenza. Successivamente ha continuato a rivedere al rialzo le previsioni di medio periodo dell’inflazione, come peraltro ha fatto anche giovedì, portando tale stima al 2,3% per il 2024 contro il 2,1% previsto solo lo scorso giugno, comunque sempre al di sopra del 2% che è il target di medio periodo.
La Bce è intenzionata a proseguire sulla strada del rialzo dei tassi. Conseguenze per l’Italia?
La Bce ha confermato che seguiranno altri aumenti dei tassi nei prossimi mesi, a fronte di un quadro congiunturale che si va indebolendo, la cui gravità, soprattutto per l’economia italiana, non mi pare essere adeguatamente esplicitata da Francoforte. Non sarei sorpreso se le previsioni relative al Pil venissero riviste al ribasso nei prossimi mesi, anche in misura significativa.
Questo per quanto riguarda i numeri e le dinamiche macroeconomiche più rilevanti per la Bce. La conferenza stampa di giovedì ha svelato altro?
A chi ha osservato la conferenza stampa, la presidente Lagarde è parsa piuttosto impacciata, cadendo in più di una stonatura nel rispondere ai quesiti che le ponevano i giornalisti. Inoltre, ha toccato alcuni aspetti critici, particolarmente per l’Italia, in modo fugace, che ciononostante non sono passati inosservati.
In che senso?
Sul Tpi non ha voluto fornire ulteriori dettagli, rinviando alla pagina pubblicata lo scorso luglio, ma implicitamente confermando la massima discrezionalità in capo alla Bce nella sua attivazione. Ma il punto più rilevante è un altro.
Quale?
Lagarde non ha escluso che l’attuale politica di reinvestimenti dei titoli che giungono a scadenza e già acquistati sotto l’ombrello dei programmi non convenzionali del Pepp e dell’App possa essere dismessa. Questo vale soprattutto per i reinvestimenti dell’App, per i quali non è prevista una data di scadenza mentre, ad oggi, la scadenza per quelli relativi al Pepp è fine 2024. Questo segnale è da incrociare con quanto affermato, sempre in tal senso, da Isabel Schnabel nell’intervista a Reuters del 16 agosto scorso, in cui sviluppava il medesimo punto. Ecco, si tratta di un doppio segnale nel giro di pochi giorni da non sottovalutare, particolarmente in Italia, data la dimensione del nostro debito pubblico.
In questo scenario quali indicazioni si sentirebbe di dare al prossimo Governo che, sulla base dei sondaggi, dovrebbe essere espresso dalla coalizione di centrodestra a trazione Fratelli d’Italia?
A prescindere dal colore politico, il prossimo Governo eredita un’economia che, in termini di distanza relativa rispetto alla Ue, ha subìto nel decennio un graduale, ma progressivo deterioramento in termini macroeconomici, fiscali e socio-economici. A fronte di un tale deterioramento, peraltro sottaciuto in molte analisi, il prossimo governo dovrà esprimere in modo convincente che chi contribuisce alla crescita dell’economia con il proprio lavoro verrà premiato. La mole di debito che il nuovo Esecutivo erediterà non potrà essere mitigata semplicemente a colpi di avanzi primari; solo la crescita potrà generare le risorse per finanziare la spesa pubblica e stabilizzare il rapporto debito/Pil.
Basterà questo per tranquillizzare Bruxelles e i mercati?
Occorrerà nel contempo sviluppare un dialogo costruttivo con i mercati e le istituzioni europee e internazionali. Molte decisioni che incidono sul Paese vengono prese in contesti più articolati, le cui regole di ingaggio occorre avere bene a mente, perché i fari su di noi sono già puntati.
(Marco Tedesco)
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