Secondo la stima flash di Eurostat diffusa ieri, a novembre l’inflazione nell’Eurozona è scesa al 2,4% dal 2,9% di ottobre. In discesa anche l’inflazione core, al +3,6% dal precedente +4,2%. Possiamo aspettarci, a questo punto, che il Consiglio direttivo della Bce del 15 dicembre opti per una nuova pausa nel rialzo dei tassi? «Il quadro inflazionistico – risponde l’economista Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale – si va sempre più stabilizzando come confermato dagli ultimi dati, anche della componente core dell’indice dei prezzi. Peraltro, il deterioramento della congiuntura e il peggioramento delle condizioni nel mercato del credito forniscono ulteriore trazione a questa tendenza. L’aspettativa è, pertanto, che gli attuali tassi di intervento rimarranno invariati in occasione del prossimo incontro del Consiglio direttivo di metà dicembre. Tuttavia, in un contesto di inflazione calante, questo vuol dire che la postura diventa, in effetti, maggiormente restrittiva».



Nei suoi ultimi discorsi, la Presidente della Bce Lagarde continua a sostenere che l’inflazione potrebbe risalire e che per questo i tassi potrebbero restare alti a lungo o addirittura essere ulteriormente aumentati. Non sono dichiarazioni eccessive rispetto al trend inflazionistico degli ultimi mesi?

Le affermazioni della Presidente Lagarde muovono da un obiettivo duplice. Da un lato, mettere le mani avanti nell’eventualità che tale scenario – di risalita dell’inflazione – possa effettivamente materializzarsi come accaduto in passato; dall’altro, tenere ancora alta la tensione anti-inflazionistica così da mitigare aspettative di ribasso dei tassi a breve. Questo consente di lasciar lavorare gli attuali tassi elevati per tutto il tempo necessario, giustificandone la persistenza in un contesto di inflazione calante, come abbiamo detto.



L’Economic Outlook dell’Ocse diffuso mercoledì mostra il permanere della difficile congiuntura economica europea. Quanto è responsabilità della Bce e quanto l’Eurotower dovrebbe tenerne conto per le prossime scelte di politica monetaria?

Il deterioramento della congiuntura risponde a vari fattori, primo fra tutti la velocità e l’intensità del rialzo dei tassi di intervento che la Bce ha avviato dal luglio 2022 per contrastare la spinta inflazionistica materializzatasi già nel 2021. Il conseguente deterioramento delle condizioni del credito ha determinato la caduta degli investimenti privati e la riduzione del reddito disponibile da parte delle famiglie. Il resto lo ha fatto la crescente incertezza geopolitica e l’indebolimento strutturale del commercio mondiale.



Qual è il suo giudizio sulla previsione Ocse relativa all’Italia, più bassa di quella del Governo, pur incorporando l’aumento degli investimenti pubblici dovuti al Pnrr? E cosa pensa del rallentamento dell’inflazione in Italia (+0,8% a novembre, secondo Istat)? Può diventare un problema per i conti pubblici (si dice sempre che l’inflazione favorisce i debitori) finché i tassi restano alti?

La previsione di crescita del Pil per il prossimo anno è dello 0,7%, in linea con quella di altre istituzioni regionali e internazionali. Su questa previsione pesa il deterioramento congiunturale generato dall’inflazione, dal conseguente innalzamento dei tassi e, infine, dallo stop – comunque non rinviabile – dato a varie misure di supporto per il caro-energia e l’edilizia. Nel complesso, la spesa per consumi e per investimenti privati rimane particolarmente debole. In questo quadro, gli investimenti legati al Pnrr rappresentano l’elemento di traino dell’economia – elemento di traino che non può venire meno. Per quanto riguarda l’inflazione, essa dovrebbe attestarsi al 2,6% e al 2,3%, rispettivamente, nel 2024 e 2025, in graduale ma costante discesa anche grazie alla prevista moderazione salariale. In tale contesto, l’impatto stabilizzante sul rapporto debito/Pil va trovato nella sua riduzione strutturale, quindi occorre incidere con maggiore aggressività sulle prospettive di crescita, espandendo il denominatore del suddetto rapporto.

Torniamo alla Bce. Non si esclude, secondo quanto detto da Lagarde pochi giorni fa, che venga rivista la scadenza per il reinvestimento dei titoli giunti a scadenza nell’ambito del Pepp, attualmente fissata alla fine del 2024. Cosa implicherebbe per l’Italia una decisione in tale direzione, accompagnata dal permanere di tassi elevati?

Invero, si tratta di un tema discusso dal Consiglio direttivo ormai da diverso tempo. A mio avviso, in un contesto di politica monetaria che continua a inasprirsi, di attività economica sostanzialmente piatta e di inflazione calante, occorre essere cauti nel somministrare ulteriori interventi restrittivi. Peraltro, è quanto assai più autorevolmente ha sostenuto proprio l’altro giorno il Governatore Fabio Panetta in uno dei suoi primi interventi pubblici. In ogni caso, l’attuale politica di riacquisti termina alla fine del 2024, quindi non capirei la fretta.

(Lorenzo Torrisi)

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