Il Giappone rialza i tassi, e non accadeva dal 2007; la Banca centrale svizzera li taglia, dopo due anni in cui li aveva aumentati per cinque volte, perché si considera soddisfatta della frenata in corso dell’inflazione elvetica; mentre l’americana Federal Reserve rinvia quel che molti speravano potesse essere un primo taglio, perché l’inflazione statunitense, sospinta anche dalla forte crescita economica, non accenna a calare; e la Banca centrale europea sta ferma, tanto per cambiare, e tieni i suoi tassi alti nonostante l’andamento economico dell’Eurozona sia tutt’altro che brillante e l’inflazione appaia tornata sotto controllo.



Perché? A scrutare le ragioni espresse dagli svizzeri per il loro taglio, vien da credere che sappiano qualcosa che noi ignoriamo: perché hanno affermato chiaramente che secondo loro l’inflazione in Svizzera oscillerà tra lo 0,2% e il 2% nei prossimi anni. E allora ci chiediamo? Perché mai l’Eurozona dovrebbe tornare a fare molto peggio?



Poi uno sposta i riflettori sugli Stati Uniti, e lì vede che i prezzi non scendono, anzi a febbraio l’inflazione è salita dello 0,3% a quota 2,5%, ma quella cosiddetta “core” addirittura al 4,2%. Quindi, la Federal Reserve non taglia e mantiene i tassi al livello ben alto del 5,%. Secondo Unimpresa – un’associazione imprenditoriale che dichiara di rappresentare ben 101 mila imprese, soprattutto medie e piccole – la Fed avrebbe deciso di non tagliare i tassi “perché l’economia americana sta crescendo proprio grazie ai tassi alti e abbassarli ora potrebbe essere prematuro. I tassi caleranno solo se e quando potranno aumentare il consenso elettorale per i democratici e per Joe Biden, evitando quindi di favorire il candidato repubblicano Donald Trump. L’attuale situazione dimostra come, a differenza della Bce, che si muove in autonomia ed è più potente dei Governi dell’area euro, la Fed è sempre molto dipendente dai Governi in carica negli Stati Uniti. L’attuale Presidente della Fed, Jerome Powell, è molto criticato dai repubblicani e se vincesse Trump verrebbe sostituito immediatamente. Quindi di fatto Powell utilizza la politica monetaria anche per difendere la sua leadership: se, infatti, abbassasse i tassi darebbe ragione a Trump che lo ha sempre criticato, si esporrebbe a critiche durissime. Così facendo, però, Powell e la Fed, seppur indirettamente, condizionano l’area euro e l’Europa”.



È un’interpretazione tagliente e tutto sommato indimostrabile, ma non priva di un suo fascino: quel che manca del tutto, invece, alla strategia della Bce, monotona come il vecchio “monoscopio” della Rai in bianco e nero degli anni Settanta, per chi ha memoria storica. Il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, che ha passato molti anni nel consiglio Bce, ha commentato l’atteggiamento dell’istituto senza poter rivelare però chissà quali retroscena o spiegazioni diverse da quelle note e stranote: “L’obiettivo ultimo della Banca centrale europea – ha detto – non può che essere lo stesso di quello attuato nel dopoguerra dalla Banca d’Italia guidata da Luigi Einaudi: riconquistare la stabilità dei prezzi senza inutili danni per l’economia reale”. “Alla metà del 1946, quando l’inflazione bellica sembrava vinta”, ha aggiunto, “si ebbe un’improvvisa impennata dei prezzi. Il risanamento monetario fu conseguito agendo su quattro fronti: riformando il regime di riserva obbligatoria e aumentando il tasso di sconto; assegnando alla Banca d’Italia la vigilanza sulle banche; ristabilendo un limite al finanziamento monetario dello Stato; reinserendo l’Italia nella comunità finanziaria internazionale con l’adesione agli accordi di Bretton Woods”.

Quindi, non è che le teste d’uovo di Francoforte debbano spremersi le meningi più di tanto per ripetere 70 anni dopo le scelte, e la logica, del grande banchiere centrale italiano.

Peccato però che oggi la paralisi politico-decisionale della Bce sia palese. Il mandato ingessante che l’istituto centrale dell’euro riceve ed esegue dal vero padrone – la Germania dei banchieri – è sempre lì: tenere bassa o abbassare l’inflazione e infischiarsene della recessione. Ma la Germania è in recessione e il Governo che la guida non sa che fare. Raramente un cancellierato aveva espresso una leadership così debole. È come sela Bce fosse un transatlantico col pilota automatico inserito su una rotta precostituita, col comandante svenuto. Va avanti senza arrestarsi e senza deviare, ma non sa perché.

Sarebbe sbagliato cercare un nesso tra questa stasi e le prossime elezioni europee: non è dal voto per Strasburgo che potrà avere ripercussioni la linea rossa che vincola la Bce alla Bundesbank. Non arrivano più gli ordini di un tempo. Resta valido quello di base. E la ripresa può attendere.

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