Il motivo per premere sulla Bce affinché inizi a tagliare i tassi almeno a primavera è evidente in una simulazione elaborata dal gruppo di ricerca (euroamericano) dello scrivente per l’Eurozona: la tendenza recessiva è in atto ed è rapida e andrebbe contrastata con un’inversione della politica monetaria.
La Bce vede certamente il medesimo scenario, anche se quello privato – confezionato da ricercatori universitari – fa un maggiore ricorso alla metodologia del “nowcasting”. Ma fa filtrare una posizione prudenziale basata sul timore che un taglio dei tassi troppo anticipato poi provochi un entusiasmo portatore di un picco di inflazione, si immagina, da domanda.
Tale argomentazione non appare realistica nei dati correnti e tendenziali: il sistema è freddo e prima di scaldarsi ci vuole del tempo anche in caso di stimolazione forte. Pertanto, la riduzione del costo del denaro avrebbe l’effetto di calmare la tendenza recessiva per poi lentamente alimentare la crescita senza farle fare un picco da correggere. Si consideri che tale postura (ri)espansiva avrebbe anche l’effetto di ridurre il conflitto tra politica fiscale finalizzata a moderare l’impoverimento di massa e politica monetaria con scopo disinflazionistico.
Il punto: vuole veramente la Bce portare lo stress sulle famiglie e imprese (in Italia già molto evidente e vicino alla soglia di pericolo sistemico) a un punto di impoverimento tale da curare il male attraverso lo strumento di molteplici morti economiche, facendo confusione tra disinflazione e deflazione? Potrebbe farlo?
Potrebbe perché nel suo mandato manca la seconda missione: difendere l’occupazione oltre che il valore della moneta. E se lo facesse diventerebbe molto ben motivata una pressione per aggiungere tale missione nello statuto della Bce, come è in quello della statunitense Fed. Non si chiede alla Bce di attuare un taglio a gennaio, ipotizzabile in base alle tendenze correnti, perché ci sono focolai residui di inflazione e un rischio geopolitico immanente – blocco dei traffici via Mar Rosso, ecc. – portatore di inflazione da offerta per l’Europa. Ma c’è anche una reazione calmieratrice dell’alleanza delle democrazie che rende probabile un contenimento di tale rischio. Pertanto, marzo 2024 appare un buon momento di controllo dei fatti e decisioni conseguenti.
Nel caso la situazione diventasse critica sul piano delle turbolenze globali, la cura non sarebbe di politica monetaria restrittiva, ma di geopolitica della deterrenza e politica monetaria ed economica d’emergenza. Ma è improbabile. Infatti, tra il personale direttivo della Bce si nota l’inizio di una disponibilità a un taglio nel 2024. Ce ne vorrebbero almeno tre per portare i tassi sotto il 3%. Così come in America, visto uno scenario a 18 mesi tendenzialmente recessivo, considerando la missione di tutela anche dell’occupazione, qualche membro della Fed inizia a valutare 4 tagli nel 2024 al posto dei 3 annunciati. Si rileggano i motivi della crisi dopo il 1929.
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