Nell’ultima settimana si sono succedute dichiarazioni di esponenti della Banca centrale europea non esattamente concordi sulla possibilità di procedere a un taglio dei tassi di interesse nei prossimi mesi. Il Presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, ritiene sia troppo presto per parlarne, il Governatore della Banca centrale austriaca, Robert Holzmann, ha fatto capire che potrebbero non esserci alcun taglio quest’anno, mentre la Presidente della Bce, Christine Lagarde, ha detto che probabilmente la riduzione avverrà in estate. Per cercare di fare un po’ di chiarezza, l’economista Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, invita anzitutto a guardare «il quadro inflativo, che è quello più importante per la Bce».



Come appare questo quadro?

I dati dell’ultimo trimestre del 2023, annualizzati, mostrano che l’inflazione core, che è quella più vischiosa, è ben al di sotto del target del 2%. Le previsioni pubblicate martedì dalla Bce, riferite alle aspettative di novembre, indicano per i prossimi tre anni un’inflazione allineata al target. C’è, quindi, una graduale e progressiva stabilizzazione del quadro inflativo. Ovviamente, occorre anche guardare alla situazione generale dell’economia dell’Eurozona.



Da questo punto di vista com’è la situazione?

L’economia tedesca continua a essere in affanno, come testimoniamo gli ultimi dati sulla produzione industriale. E se la Germania resterà in una fase di stagnazione, inevitabilmente l’intera Eurozona ne sarà coinvolta. Le prospettive di crescita europee per quest’anno sono, quindi, soggette a una sostanziale incertezza, dilatata anche dalle dinamiche geopolitiche che stiamo osservando. Rispetto all’economia americana, dove c’è una dinamica molto più resiliente, l’Eurozona si trova in una situazione peggiore. La Bce dovrà tenere conto di questo quadro congiunturale.



Il bollettino economico della Bce< diffuso settimana scorsa sembrava essere ottimista sull’andamento dell’economia…

Implicitamente paventava uno scenario di soft landing. Uno scenario che è sempre possibile, ma che dipende anche dalle mosse della stessa Bce nei prossimi mesi. L’economia dell’Eurozona è indebolita da tanti fattori, ma anche dalla politica monetaria particolarmente restrittiva. I tassi di interesse, infatti, sono a livelli straordinariamente alti.

Proprio per questo si parla della necessità di una normalizzazione della politica monetaria.

Quando parliamo di normalizzazione della politica monetaria per l’Eurozona dobbiamo essere coscienti che è un discorso totalmente diverso da quello che si sta facendo negli Stati Uniti. In Europa, infatti, la prospettiva congiunturale è molto più incerta e sostanzialmente deteriorata, anche perché il motore dell’economia dell’Eurozona, la Germania, peraltro principale partner commerciale dell’Italia, ha di fatto segnato una contrazione nella crescita reale nel 2023 e, come detto poc’anzi, i segnali che si colgono all’inizio di quest’anno non sono rassicuranti. Il fatto che la politica monetaria si debba normalizzare è ormai un dato acquisito, il punto è capire quando verrà avviato il ciclo di riduzione dei tassi.

E dalle dichiarazioni degli ultimi giorni non si è ben capito quando la Bce potrebbe effettivamente cominciare a tagliare i tassi.

È comprensibile che la Bce tenda a mitigare le pressioni, cercando di non creare aspettative per un abbassamento imminente. Tuttavia, dobbiamo anche considerare che l’effetto della politica monetaria sull’attività reale avviene dopo un certo lasso di tempo, quindi se il ciclo di riduzione dei tassi venisse avviato troppo in là, rischieremmo di avere di avere implicazioni rilevanti in termini di ulteriore caduta degli investimenti e dell’attività produttiva. Pertanto, il rischio da evitare è aspettare troppo, perché gli effetti di un taglio dei tassi non sono immediati. L’idea ventilata dalla Presidente Lagarde di un possibile avvio dei tagli a giugno intende rappresentare una posizione di compromesso tra i falchi che vorrebbero attendere sino a dopo l’estate e le colombe che chiedono la riduzione all’inizio del secondo trimestre subito dopo la Fed.

Se la riduzione avvenisse in estate, sarebbe tardi?

Bisognerà vedere l’evoluzione dei dati, ma sicuramente non c’è un’economia nell’Eurozona che si sta surriscaldando. Occorrerebbe essere aperti e prudenti, laddove la prudenza è sì evitare che ci sia una nuova vampata inflazionistica, ma anche che i tassi si abbassino quando le prospettive congiunturali siano già irrimediabilmente compromesse per l’anno in corso. Quindi, sarebbe prudente attendersi un taglio dei tassi prima dell’estate. Peraltro, il bollettino economico della Bce prevede una crescita dell’Eurozona per l’anno in corso trainata dalla domanda domestica. Se non si materializzasse, questo rafforzerebbe lo scenario di prudenza inducendo la Bce a mostrare maggior aggressività in tal senso.

Anche alla Bundesbank sarebbero d’accordo, visto che Nagel ha detto che è ancora prematuro parlare di taglio dei tassi?

Credo che anche per un gioco delle parti sia difficile aspettarsi dal Presidente della Bundesbank un invito pubblico a ridurre i tassi. Detto questo, bisognerà vedere quanto sarà convinta un’eventuale opposizione alla riduzione dei tassi da parte tedesca, viste le incerte prospettive congiunturali della loro economia.

Da dove potrebbe arrivare una nuova spinta inflazionistica che potrebbe chiudere le porte a un taglio dei tassi?

La dinamica salariale è moderata, c’è un parziale recupero dei livelli di inflazione che si sono sinora materializzati, ma è assai parziale e comunque non tale da compromettere l’ancoraggio delle aspettative al target del 2% nel medio termine. In questo momento, il fattore di rischio più rilevante è legato alle tensioni nel Mar Rosso. Oggi stiamo assistendo a un aumento dei prezzi dei noli marittimi, non ancora tale da creare l’aspettativa fondata di una nuova impennata dei prezzi energetici. L’intervento militare anglo-americano e le iniziative diplomatiche di vari Paesi europei tendono proprio a contenere i rischi e ad assicurare la navigazione nel Canale di Suez. Tuttavia, se la situazione dovesse evolvere in senso peggiorativo, la Bce potrebbe essere costretta a monitorare più l’inflazione che non la situazione congiunturale economica.

Prima ha parlato di avvio del ciclo di riduzione dei tassi. Dunque, vorrebbe dire che dovrebbe esserci più di un taglio nell’arco del 2024?

L’aspettativa è che vi siano più interventi di riduzione dei tassi di entità ridotta, pari a un quarto di punto. Quanti ve ne possano essere dipende da tanti fattori, ma a oggi abbiamo un livello dei tassi che è straordinariamente elevato. E non dobbiamo dimenticare che in un contesto disinflativo, mantenere i tassi invariati implica un’intensificazione del livello di inasprimento della politica monetaria.

Un inasprimento che si avrà anche con la graduale riduzione del reinvestimento dei titoli di stato acquistati nell’ambito del programma Pepp a partire dalla seconda metà dell’anno. Dunque, a maggior ragione il timing è importante.

Sì. Occorre essere cauti nell’evitare di somministrare un ulteriore inasprimento in un contesto economico tutto sommato stagnante, con l’eccezione italiana. Peraltro, nell’anno scadranno le rimanenti operazioni di rifinanziamento a tasso praticamente nullo che le banche avevano precedentemente acceso per il tramite dell’Tltro, cosa che aggiungerà un ulteriore elemento restrittivo sul fronte delle quantità, non solo dei prezzi, cioè i tassi di interesse. Il nostro Paese, infatti, è riuscito finora a mostrare resilienza. Il Governatore della Banca d’Italia Panetta ha parlato l’altro giorno di una crescita per il 2024 prevista poco sotto l’1%. Anche se inferiore alla previsione formulata dal Governo nella Nadef lo scorso anno, si tratterebbe di un ottimo risultato visto il contesto attuale dell’Eurozona e l’incertezza globale.

(Lorenzo Torrisi)

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