“L’inflazione continua a diminuire, ma ci si attende tuttora che rimanga troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato”. Per questo la Banca centrale europea ha deciso ieri di aumentare i tassi di interesse dello 0,25%. La Presidente Christine Lagarde, durante la conferenza stampa, ha spiegato che a settembre, quando tornerà a riunirsi il Consiglio direttivo, potrebbe esserci un nuovo rialzo oppure potrebbe essere deciso di lasciare invariati i tassi. Abbiamo chiesto un commento a Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss.



Cosa dobbiamo aspettarci dalla Bce a partire da settembre?

Come largamente nelle attese, il Consiglio direttivo della Bce, all’unanimità, ha aumentato i tassi di intervento di un altro quarto di punto. Nel complesso, dal luglio dello scorso anno l’aumento cumulato dei tassi di intervento, nei nove rialzi consecutivi, è stato pari a 425 punti base. Nella conferenza stampa che è seguita, la Presidente Lagarde ha riconosciuto che l’inflazione sta diminuendo: lo scorso giugno era del 5,5% rispetto al 6,1% di maggio, ma l’inflazione core persiste a livelli elevati e relativamente stabili. Tuttavia, nel comunicato non si fornisce alcuna indicazione per il prossimo settembre, riconoscendo, pertanto, che qualunque dei due esiti – un ulteriore aumento ai tassi di intervento oppure mantenerli stabili – è possibile, marcando la differenza rispetto al recente passato. Inoltre, la Presidente Lagarde ha assicurato che non vi è stata alcuna discussione su ulteriori misure restrittive del bilancio (“Quantitative tightening”). In altre parole, la politica di riacquisti di titoli sotto l’egida del programma di emergenza pandemico Pepp, prevista almeno sino alla fine del 2024, permane.



Il fatto che la Fed abbia alzato i tassi dopo una “pausa” (e nonostante un’inflazione al 3%) potrebbe spingere la Bce a non fermare il ciclo di rialzi?

Come la stessa Lagarde ha riconosciuto, la dinamica inflazionistica che ha interessato le due economie – quella dell’Eurozona e quella americana – è strutturalmente diversa. Nel primo caso, abbiamo per lo più “importato” inflazione a seguito dello shock energetico. Nel secondo, invece, la politica fiscale ha materialmente contribuito alla vampata inflazionistica che si è recentemente attestata al di sotto del 4% ed è in ulteriore riduzione. Peraltro, è interessante notare la resilienza dell’economia americana nonostante l’inasprimento della politica monetaria. La crescita del Pil nel secondo trimestre è stata pari al 2,4% contro le aspettative del 2%. Anche l’andamento del mercato del lavoro rimane nel complesso robusto, nonostante l’indebolimento registrato nei mesi passati. Nel complesso, la Fed ha segnalato un atteggiamento opportunistico rispetto all’incontro del prossimo settembre. Sull’esito peseranno naturalmente i prossimi dati sull’andamento dei prezzi: ci saranno ben due rapporti congiunturali sino al prossimo 19 settembre quando il Fmoc tornerà a riunirsi



Quali potrebbero essere le conseguenze di tassi elevati per un lungo tempo? Quanto l’economia sarebbe in grado di reggere a livelli così alti?

Il fatto che a settembre potrebbe esserci una pausa – ma naturalmente dipende dall’evoluzione dei dati – non toglie che l’elevato livello dei tassi continua dispiegare i suoi effetti. Le condizioni nel mercato del credito continuano a inasprirsi con la domanda di prestiti che, nell’Eurozona, ha raggiunto nel secondo trimestre dell’anno il livello più basso dal 2003. Ciò nonostante, l’inflazione core continua a essere più del doppio del target di medio periodo della Bce, riflettendo un cambio nei fattori che sospingono la dinamica inflattiva, da esterni a interni. Si tratta di un aspetto che, in varia misura, caratterizza il complesso delle economie avanzate, come ha sottolineato il Fmi l’altro giorno, evidenziando l’importanza di riforme che innalzino il tasso di partecipazione della forza lavoro – in Italia, particolarmente basso – ed espandano l’offerta aggregata.

Come ha ricordato Lagarde, la Bce agisce in base ai dati. Sicuramente ha presente quelli sull’andamento dell’economia e anche sulla stretta del credito: non si sta sottovalutando il rischio di una recessione?

Effettivamente la Presidente Lagarde ha ricordato come le prospettive economiche si stiano deteriorando, non solo nell’Eurozona ma globalmente, riflettendo una domanda aggregata più debole – la manifattura ha perso slancio e anche nel settore dei servizi si osserva un rallentamento. Nel complesso, tuttavia, l’economia dell’Eurozona mostra una tenuta per l’anno in corso con il Fmi che prevede una crescita pari allo 0,9%. A fronte di una contrazione dello 0,3% per la Germania, l’Italia crescerebbe dell’1,1%, quasi il doppio del valore previsto nella Legge di bilancio. Si tratta di un ottimo risultato per noi, ma dobbiamo rimanere sempre vigili sulle prospettive.

In Italia si parla già della Legge di bilancio per il prossimo anno. Di certo se la Bce continua ad alzare i tassi ci saranno sempre meno margini di manovra visti i costi crescenti degli interessi sul debito e gli impegni già presi di riduzione del deficit…

L’elemento significativo è che, a fronte, del più sostenuto rialzo dei tassi dalla creazione dell’euro, il rifinanziamento del debito rimane ordinato, come ha riconosciuto il Fmi l’altro giorno. Le variabili di finanza pubblica sono in progressivo miglioramento, nonostante gli shock avversi che hanno colpito, in sequenza, l’economia italiana. Naturalmente, l’enorme mole di debito e il principio di responsabilità fiscale impongono di concentrarsi su riforme e provvedimenti con limitato impatto di bilancio. Del resto, è anche quanto sostenuto dal Fmi nelle valutazioni condivise l’altro giorno in cui si rimarca, da un lato, la straordinaria resilienza mostrata dalla nostra economia e, dall’altro, la necessità di proseguire con le riforme.

(Lorenzo Torrisi)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI