Oltre a quelli relativi all’Italia, lunedì sono stati diffusi da Eurostat i dati sul Pil del secondo trimestre e sull’inflazione di luglio dell’Eurozona, importanti per capire quale potrà essere la decisione della Banca centrale europa a settembre in merito ai tassi di interesse. Come ci spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss, «per quanto riguarda l’Eurozona nel suo complesso, la crescita del Pil nel secondo trimestre è stata moderata, pari allo 0,3%, in miglioramento rispetto allo zero del primo trimestre. Questo +0,3% nasconde dentro di sé una crescita piatta per la Germania, che già era entrata in una recessione tecnica nei due precedenti trimestri, e la contrazione largamente inattesa del Pil italiano, pari allo 0,3%. A livello macroscopico la flessione della nostra economia è stata dovuta all’andamento dell’agricoltura e dell’industria, mentre, per quanto riguarda le componenti della domanda, quella estera ha fornito un contributo sostanzialmente nullo e quella domestica è scesa. Probabilmente ciò è dovuto all’effetto combinato di due forze».
Quali?
Da un lato, la dinamica inflattiva sta erodendo il potere d’acquisto delle famiglie. Dall’altro, l’economia europea sta registrando una flessione, soprattutto in Germania, Paese che è tra i nostri principali partner industriali. Nel contempo è in atto un progressivo deterioramento delle condizioni nel mercato del credito, che, insieme alla contrazione della domanda aggregata, mostra come si stiano facendo sentire gli effetti dell’inasprimento della politica monetaria in corso nell’Eurozona da ormai un anno. Peraltro, poiché questo ciclo è stato avviato dopo oltre un decennio di tassi nulli o negativi, c’è una difficoltà generale a misurare e prevedere l’impatto dell’inasprimento della politica monetaria sull’economia, soprattutto alla luce della straordinaria velocità e dell’entità dei rialzi dei tassi. In ogni caso, nonostante il calo del Pil nel secondo trimestre, in Italia la crescita acquisita per il 2023 è pari allo 0,8%, superiore allo 0,6% stimato dal Governo nella Legge di stabilità, e, in linea, con le previsioni del Def. I dati sull’occupazione sono particolarmente positivi, mentre sul fronte bancario va registrato che i nostri istituti di credito hanno superato brillantemente gli stress test dell’Eba.
Il dato sull’inflazione di luglio nell’Eurozona fa propendere più per una “pausa” o per un nuovo rialzo dei tassi da parte della Bce a settembre?
L’indice aggregato dei prezzi a luglio ha registrato una discesa al +5,3% dal +5,5% di giugno, soprattutto grazie al calo dei prezzi dei beni energetici (-6,1% su base annua). Tuttavia, l’inflazione core, che è la componente cui ora la Bce presta particolare attenzione, resta invariata al +5,5% e continua a mostrare un’elevata vischiosità. Addirittura la componente dei beni alimentari si mantiene su livelli alti, tra il 9% e l’11%. Questo farebbe propendere per un nuovo rialzo dei tassi. Vero è che questi sono saliti assai rapidamente nel corso degli ultimi dodici mesi o e ora sono compresi tra il 3,75% e il 4,5%, quindi anche optare per una pausa significherebbe lasciar lavorare questi tassi già particolarmente elevati. Rispetto alle decisioni che la Bce dovrà prendere c’è un’ipotesi che un po’ mi preoccupa.
A che cosa si riferisce?
Nei prossimi mesi, in seno al Consiglio direttivo i falchi potrebbero chiedere, a fronte di una pausa più o meno estesa nel rialzo dei tassi, un ridimensionamento del ritmo di riacquisto dei titoli di stato nell’ambito del programma emergenziale Pepp ed eventualmente accorciarne la scadenza, ora prevista alla fine del 2024. Al momento si tratta di una semplice ipotesi, andranno monitorati con attenzione i resoconti delle prossime riunioni del Consiglio direttivo per valutarne la fondatezza. Del resto, nei mesi scorsi abbiamo visto che è stato cessato del tutto il programma di riacquisto App mentre è diminuita l’entità dei singoli rialzi dei tassi.
Questa ipotesi di compromesso andrebbe bene anche alla Germania?
Sì. L’economia tedesca si trova in una situazione di oggettiva difficoltà, visto che è entrata in recessione tecnica. L’inflazione è in discesa, ma continua a mantenersi a livelli elevati, superiori alla media dell’Eurozona, e una rimodulazione dei riacquisti di titoli di stato nell’ambito del programma Pepp contribuirebbe ulteriormente a una politica monetaria restrittiva, pur lasciando i tassi di interesse invariati, ma comunque a livelli elevati.
Per l’Italia questo compromesso comporterebbe comunque delle conseguenze negative…
Tra i Paesi dell’Eurozona, l’Italia è quello più esposto agli alti tassi di interesse e a una politica monetaria restrittiva. Sinora ha potuto contare su una sorta di cuscinetto, rappresentato da una dinamica di crescita del Pil: bisognerà, quindi, vedere come andranno i prossimi trimestri da questo punto di vista. Il Governo ha, pertanto, la necessità di continuare a improntare la propria politica fiscale al massimo della prudenza, a maggior ragione in questo contesto la cui complessità si va accrescendo, e di proseguire con un programma di riforme, a limitato impatto di bilancio, che incoraggi e sostenga la crescita. Per esempio, semplificando gli oneri burocratici e amministrativi in molte aree dell’economia.
(Lorenzo Torrisi)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.