Alla vigilia della riunione della Bce di oggi, gli investitori scontano un taglio dei tassi di 25 punti base con una probabilità vicina al 100%. Il taglio che viene dato per scontato oggi era considerato molto più incerto dopo l’ultima riunione del 12 settembre. Dopo quella riunione i mercati scontavano una probabilità di poco superiore al 50% di una pausa fino al meeting di dicembre. In mezzo c’è stata la decisione inattesa della Fed che il 18 settembre ha deciso per un taglio di 50 punti base, la discesa dell’inflazione e il rallentamento dell’economia europea.



Due giorni fa Bloomberg ha pubblicato un editoriale in cui ha suggerito alla Bce uno “shock” con un taglio di 50 punti base che, mentre scriviamo, ha una probabilità nulla. La tesi è questa: “un ritorno alla deflazione è il rischio più importante che la Banca centrale europea deve evitare”. Per la Bce, continua l’editorialista di Bloomberg, è arrivato il momento di usare il bazooka che ha usato la Fed un mese fa. L’economia europea rallenta, il motore tedesco è inceppato e l’inflazione scende. Di fronte a questo scenario la Bce dovrebbe rompere gli indugi. Francoforte, secondo quell’editoriale, dovrebbe tagliare aggressivamente e preoccuparsi degli effetti in un secondo momento. Il taglio aiuterebbe anche i Paesi, come Francia e Italia, che in questi giorni faticano a quadrare i conti pubblici.



Le controindicazioni delle politiche espansive a ottobre 2024 sono un fatto assodato per mercati e investitori. Le politiche post-Covid, fiscali e monetarie, ci hanno regalato la peggiore fase di inflazione degli ultimi due decenni. Ancora oggi la politica è dominata dalla perdita di potere d’acquisto dei salari e dalla ricerca di soluzioni per uscire da una spirale che funziona molto bene per i mercati e per il “Pil” e male per ampie fasce della popolazione. Ci sono però questioni molto più pressanti nel breve termine. Oggi l’euro, nonostante la performance economica dell’Europa, è vicino ai massimi contro il dollaro dalla primavera 2022 quando la Russia invadeva l’Ucraina. In quei mesi cominciava la crisi energetica che ha minato la competitività dell’industria europea e che dura ancora oggi; sicuramente in Italia che a ottobre 2024 si ritrova con prezzi dell’elettricità più che doppi rispetto a quelli antecedenti la crisi.



L’Europa avrebbe bisogno di un assestamento del cambio euro/dollaro esattamente com’è stato necessario dopo la crisi dei debiti sovrani. In questi mesi si assiste a una competizione globale per schiacciare il valore della moneta e recuperare flessibilità in un mondo che va verso la deglobalizzazione e le guerre commerciali. L’Europa è l’ultimo degli “Stati” a potersi permettere un cambio sopravvalutato. Le differenze rispetto alla crisi dei debiti sovrani, da cui l’Europa è uscita con un euro molto più debole, sono tante. Gli Stati Uniti, anche con Biden, hanno sposato la causa dell'”America first”. Se vincesse Trump la china per l’Europa potrebbe solo peggiorare; i dazi minacciati dal candidato repubblicano sono sostanziali così come è sostanziale il riequilibrio della bilancia commerciale che richiede. Non è chiaro quale possa essere la reazione americana di fronte a un indebolimento dell’euro che renda più competitive le esportazioni verso l’America. L’Europa, a differenza del 2014, oggi ha il problema di recuperare gas e materie prime a buon mercato; anche in questo caso l’indebolimento dell’euro può essere un problema.

La “svalutazione competitiva” può essere uno strumento utile nel breve, ma non è la soluzione nel nuovo scenario globale. Non ci sono scorciatoie e l’Europa non può evitare un esame di coscienza sulle condizioni che possono permettere alla sua industria di sopravvivere.

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