Christine Lagarde, Presidente della Bce, intervenendo a un evento organizzato dalla Bundesbank a Francoforte ha spiegato che la Banca centrale europea può prendersi una pausa dal rialzo dei tassi per valutare l’impatto della stretta monetaria; “data la quantità di munizioni che abbiamo usato, possiamo osservare molto attentamente elementi come i salari, i profitti, come gli sviluppi fiscali e geopolitici e certamente il modo in cui le nostre munizioni stanno impatto la nostra vita economica per decidere quanto a lungo dobbiamo stare qui e quale decisione prendere, su o giù”. Parafrasando, i tagli dei tassi non sono all’ordine del giorno.



All’interno del Consiglio direttivo della Bce si alzano voci che invocano estrema prudenza nella decisione di tagliare e altre, è il caso dell’irlandese Gabriel Makhlouf, che chiedono un altro rialzo. Questo avviene nonostante si moltiplichino i segnali di rallentamento e si cominci a fare i conti con una possibile recessione. È stato Mario Draghi due settimane fa a dichiarare che una recessione è “quasi sicura” nel primo semestre 2024.



Anche in questa particolare congiuntura in Europa convivono andamenti economici diversi. Uno degli indicatori con cui si può provare a misurare questa diversità è la rapidità con cui scenderà l’inflazione nei vari Paesi dell’area euro. L’Italia in questo caso sembra essere in testa; a ottobre l’incremento annuale dei prezzi in Italia è stato di appena l’1,7%, contro il 4% francese, il 3,8% tedesco e il 3,5% spagnolo. Dietro questo primato c’è un incremento salariale molto inferiore a quello degli altri Paesi europei. Il fatto emerge, tra gli altri, anche dal database della Bce. Gli ultimi mesi, prendendo per esempio i dati di Indeed, confermano questo andamento. Questa è probabilmente la ragione per cui l’economia, guardata dal particolare punto di osservazione italiano, sembra peggio di quanto non sia per gli altri cittadini europei.



L’inflazione scende di più in Italia perché il potere d’acquisto delle famiglie è stato colpito più duramente e quindi il rallentamento si sta facendo sentire prima e peggio sulla domanda interna e, di conseguenza, sui prezzi. L’urgenza di un abbassamento dei tassi è maggiore in Italia di quanto non lo sia negli altri Paesi con cui condivide la valuta. In questo caso fuori dall’Italia l’inflazione sarà più dura a morire e ciò avrà un peso sulle decisioni di politica monetaria. L’Italia, dal suo punto di osservazione, continuerà a chiedersi il perché di tanta attesa.

Il ministro dell’Economia Giorgetti, nel corso dell’audizione al Senato del 14 novembre, spiegava che “l’ambito di intervento più rilevante della manovra per il prossimo anno è rappresentato dal sostegno al potere d’acquisto delle famiglie, che potranno continuare a beneficiare dell’esonero parziale dei contributi previdenziali”. Il ministro continuava: “È un intervento che il Governo ritiene fondamentale per sostenere i redditi e i consumi dei lavoratori, in particolare quelli con redditi più bassi, che hanno subito una rilevante perdita del potere d’acquisto riconducibile sia alla prolungata fase inflazionistica, sia al mancato rinnovo dei contratti di lavoro in diversi settori produttivi”. Infine: “Riteniamo, inoltre, che questo sostegno può contribuire a mitigare le pressioni salariali”.

La differenza tra un aumento salariale e misure “fiscali” dei Governi, tanto più concentrate sui redditi bassi, non è banale. Il secondo caso è una misura tampone limitata nel tempo e nel numero di persone coinvolte; ha un valore sociale perché interviene dove l’esplosione dei prezzi, pensiamo a quelli degli alimentari, ha fatto più male. Il risultato, a livello di sistema economico, non impedisce che accada quello che si sta osservando con sempre maggiore evidenza.

L’Italia è in prima fila nella diminuzione dell’inflazione perché è il fanalino di coda della crescita dei salari; questo spiega la solitudine italiana nelle richieste di tagli alla Bce.

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