Christine Lagarde, Presidente della Bce, ha dichiarato ieri: “Il nostro lavoro non è ancora finito. Escludendo un mutamento sostanziale delle prospettive di inflazione, continueremo a innalzare i tassi a luglio”. La Presidente ha continuato rincarando la dose: “È improbabile che nel prossimo futuro la banca centrale sia in grado di dichiarare con assoluta certezza che il livello massimo dei tassi sia stato raggiunto”. Le dichiarazioni hanno suscitato alcune proteste nel mondo politico italiano sia per i timori che i rialzi dei tassi possano portare a una recessione, sia per gli effetti che questi rialzi hanno sulle famiglie. Uno degli esempi più semplici è il mercato immobiliare perché l’incremento dei tassi rende molto più oneroso il mutuo.
Le dichiarazioni di ieri sembrano indicare che la Bce andrà avanti sui rialzi a meno di ipotizzare recessioni paurose che in questo momento però non si vedono. Anticipare un rallentamento è cosa molto diversa da mettere in conto una recessione. Tempi, durata e intensità del rallentamento oggi non sono noti ed è troppo presto per una stima. I dati sugli ordini americani comunicati ieri tutto dipingono tranne che uno scenario di crisi. Questo è il contesto in cui arrivano le dichiarazioni della Presidente della Bce che in qualche modo sono inevitabili dopo almeno sei o sette trimestri di inflazione fuori da qualsiasi scala rispetto agli ultimi tre decenni. Il rischio, per i banchieri centrali, è di rallentare troppo presto e trovarsi poi a gestire un problema, in termini di salita dei prezzi, molto più grande di quello attuale.
Il dibattito, soprattutto politico, sarebbe favorito se si mettesse al centro della discussione l’origine di questa “misteriosa” esplosione dell’inflazione. Gita Gopinath, primo vice direttore generale del Fondo monetario internazionale, in una presentazione pubblicata ieri titolata “Tre scomode verità per la politica monetaria” evidenzia, per esempio, due cause: la fine della globalizzazione e la transizione energetica. La fine della globalizzazione prende la forma delle sanzioni e delle guerre commerciali e la transizione energetica prende la forma di una colossale sostituzione di tecnologie arcinote con altre meno note. Sono due scelte politiche che sono state presentate come neutrali, dal punto di vista economico, per famiglie e consumatori. Che siano moralmente giuste o meno quello che importa, dal punto di vista politico, è che costano molto e che il loro costo si concretizza nell’impennata dei prezzi (oltre all’aperture di miniere a cielo aperto in Italia e in Europa nel caso della “transizione”). Lo stesso vale, ma è un altro discorso, per politiche monetarie che probabilmente hanno aiutato più che proporzionalmente i ricchi rispetto ai poveri. Questo è vero sicuramente per quanto messo in atto dopo il 2008.
La politica, molto opportunamente, si interroga sull’impatto che le scelte della Banca centrale europea hanno su famiglie e imprese. Il dibattito si dovrebbe però allargare. Se anche la Bce smettesse di alzare i tassi o li abbassasse il problema “politico” del benessere delle famiglie rimarrebbe. Se l’inflazione tornasse al 10% senza aumenti salariali, senza che il sistema industriale possa aspirare a un rimpatrio delle produzioni con la condizione minima di prezzi energetici competitivi e con una conflittualità commerciale montante il problema delle famiglie che vogliono arrivare alla fine del mese dignitosamente e in una casa di proprietà sarebbe risolto? Stesso discorso per la denatalità che è un’altra enorme spinta inflattiva.
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