Il mese di aprile sarà probabilmente caratterizzato da un rinnovato e ampio dibattito sulle scelte che il Consiglio direttivo della Bce dovrà prendere il 4 maggio. Christine Lagarde ha lasciato intendere che si andrà avanti con il rialzo dei tassi, nonostante a marzo l’inflazione nell’Eurozona sia scesa al +6,9% su base annua dal +8,5% di febbraio, con un calo che è stato superiore alle aspettative di mercato.
Come ricorda Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss, «stiamo effettivamente assistendo a una costante e progressiva diminuzione del tasso di inflazione, cominciata lo scorso autunno. Tuttavia, è cambiata la composizione dei driver che stanno alimentando la sua dinamica».
In che modo sta cambiando?
Occorre notare, anzitutto, che a marzo l’inflazione di fondo è salita al +5,7% su base annua dal +5,6% di febbraio, confermando un trend rialzista che dura da alcuni mesi: basti pensare che a novembre il dato si attestava al +5%. L’aspettativa per l’anno in corso è che l’inflazione di fondo debba ancora raggiungere il picco. Dunque, la spinta inflazionistica derivante dalla componente energetica si sta praticamente esaurendo, mentre quella correlata alle componenti meno volatili, ma più strutturali, dell’indice dei prezzi ne sospinge l’attuale dinamica. Alla luce di questi dati è difficile per la Bce cambiare significativamente la propria valutazione sul percorso di aumento dei tassi intrapreso e ampiamente comunicato.
Quanto potranno incidere, invece, le recenti crisi bancarie, sebbene non abbiano riguardato direttamente l’Eurozona?
Finora abbiamo potuto osservare che alcune componenti del sistema bancario americano ed europeo in senso lato hanno mostrato difficoltà ad adeguarsi a uno scenario di politica monetaria radicalmente cambiato. Il passaggio da un periodo ultra-decennale di tassi nulli a un contesto in cui sono significativamente aumentati – e in un lasso di tempo relativamente breve – ha innescato delle vulnerabilità che in alcuni istituti bancari si sono rivelate particolarmente significative. Si tratterà ora di capire se le crisi che hanno interessato alcune banche non sistemiche negli Stati Uniti e una sistemica in Europa e le turbolenze dei corsi azionari di alcuni istituti dell’Eurozona si siano assestate grazie all’intervento delle autorità monetarie e di vigilanza, o se, invece, si debba prefigurare uno scenario di crisi bancaria strisciante. Non ci sono ancora elementi per avere certezze che siamo in presenza dell’uno o dell’altro scenario, ma sicuramente la Bce dovrà prestare particolare attenzione perché, nella situazione in cui si trova oggi, l’Eurozona non può permettersi una crisi bancaria.
Quanto ci può volere per capire se si è o meno all’inizio di una crisi bancaria strisciante?
È difficile dirlo. Quello che è importante, a mio avviso, è che anche da parte della Bce ci sia prudenza. L’Eurotower deve attenersi a un rigoroso mandato inflazionistico, che va rispettato, ma allo stesso tempo dispone nel suo arsenale di numerosi strumenti e andrebbe usata tutta la flessibilità che questa “cassetta degli attrezzi” consente.
Per esempio?
Non dobbiamo dimenticare che a giugno è attesa la decisione, da parte della Bce, sull’eventuale rimodulazione o cessazione dei riacquisti dei titoli di stato nell’ambito del programma Pspp. Anche la presenza dell’Eurotower come compratore sul mercato secondario incide sui titoli di stato classati dalle banche, non solo il rialzo dei tassi, e stabilizza la trasmissione della politica monetaria. Se possibile, poi, tornando all’inflazione, vorrei evidenziare un aspetto che sulla stampa italiana non ha avuto il giusto rilievo.
Prego.
Quando parliamo di inflazione, tradizionalmente le banche centrali tendono a monitorare il costo del lavoro per verificare se si possa materializzare una spirale prezzi-salari. Di recente, Fabio Panetta, membro del Consiglio direttivo della Bce, ha evidenziato, invece, che i profitti delle aziende stanno crescendo in maniera significativa. In altri termini, le imprese hanno subito aumenti dal lato dei costi, hanno cercato di trasferirli sul lato dei prezzi e alla fine sono pure riuscite ad aumentare in modo significativo i propri margini. Tutto questo incide sull’inflazione, facendola ulteriormente salire. Questo ci ricorda che l’Europa, e i suoi Governi, dovrebbero creare maggiori opportunità di concorrenza che possano ridimensionare, nel medio periodo, fenomeni come questo.
Vista l’importanza che ha per la Bce, come si può contrastare l’inflazione di fondo?
Nel breve periodo c’è solo uno strumento: il rialzo dei tassi. Se le turbolenze bancarie dovessero permanere, questo creerebbe maggiore incertezza, con un effetto ancora più depressivo sugli investimenti e la domanda aggregata, oltre a quello già determinato dai più alti tassi di interesse, e anche sull’inflazione di fondo. Per quanto riguarda il medio lungo termine, è importante evidenziare che l’attuale scenario inflazionistico non può essere affrontato solo dalla Bce: anche i Governi nazionali hanno un ruolo importante da giocare.
Che tipo di ruolo hanno, pensando in particolare all’Italia?
Devono cercare di riportare in equilibrio domanda e offerta aggregata, espandendo quest’ultima in modo da stabilizzare la dinamica inflazionistica, che in Italia da diversi mesi resta sopra la media dell’Eurozona. È importante, quindi, aumentare la concorrenza, ma soprattutto alimentare maggiori investimenti pubblici, perché quelli privati risentono negativamente dell’aumento dei tassi indotto dalla restrizione monetaria. Per questo, occorre dirimere al più presto le incertezze legate alla dinamica del Pnrr, perché almeno la componente pubblica degli investimenti, con ingente disponibilità di fondi europei, va salvaguardata. In tal senso, l’Ue dovrebbe mostrare maggiore flessibilità.
(Lorenzo Torrisi)
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