“Alla luce delle continue pressioni inflazionistiche elevate”, la Bce ieri ha alzato i tassi di 25 punti base, anche perché le prospettive sull’indice dei prezzi “continuano ad essere troppo elevate per troppo tempo”. Forse, però, la decisione più importante per l’Italia riguarda il reinvestimento dei titoli di stato giunti a scadenza nell’ambito del programma App, già ridotto di 15 miliardi al mese dallo scorso marzo. L’Eurotower, infatti, ha fatto sapere di prevedere di porre fine a tali reinvestimenti a partire da luglio.



E, come ci ricorda Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss, «la domanda di titoli di Stato alimentata dalla Bce è stata importante in questi anni. Tanto per dare un ordine di grandezza, nell’ambito dell’App, l’Eurotower detiene più di 442 miliardi di consistenze di titoli di Stato. La Bce aveva già deciso di ridimensionare i reinvestimenti, facendoli diminuire di 15 miliardi al mese. La nuova decisione, che dovrebbe essere operativa da luglio, equivale a circa 25 miliardi di riacquisti in meno per l’intera Eurozona».



Per l’Italia cosa implica questa decisione sui reinvestimenti?

Alla luce dell’elevato debito pubblico e le conseguenti necessità di rifinanziamento, la cessazione dell’App probabilmente implica che gli investitori richiederanno un maggior premio per classare nei rispettivi portafogli titoli di Stato italiani. L’altro aspetto è che, dovendo l’Italia veleggiare con le proprie forze, la politica fiscale deve rimanere nell’ambito di un’impostazione iper-prudenziale. Rimane invariata, invece, la forward guidance sul Pepp, l’altro programma non convenzionale attivato durante la crisi pandemica. La Bce continuerà a riacquistare per importi pari al montante che va in scadenza, almeno sino a fine 2024. Per contestualizzare il sostegno che all’Italia è derivato da questo programma, occorre dire che la Bce detiene quasi 290 miliardi di titoli di Stato e nello scorso mese di marzo ha effettuato riacquisti netti per oltre 2 miliardi. Questo rappresenta un elemento favorevole che parzialmente mitiga le considerazioni formulate sopra.



La Bce ha alzato i tassi dello 0,25%, ma alla vigilia non si escludeva un rialzo dello 0,5%. Significa che c’è stata una certa “prudenza”?

I governatori del Nord Europa avrebbero preferito un aumento di maggiore entità, di mezzo punto, ma alla fine è stato raggiunto un compromesso. In ogni caso, l’aumento, il settimo consecutivo dal luglio scorso, porta la cumulata a 375 punti base. Non è ancora il punto di arrivo, ma dal linguaggio utilizzato nel comunicato stampa si inferisce che la Bce ritiene di esservi vicina: come fanno le imbarcazioni quando si avvicinano al porto di arrivo, ha ridotto la velocità di navigazione. Non a caso, ha spostato l’enfasi sul fatto che i tassi di interesse elevati permarranno per tutto il tempo necessario, anche a lungo, pur di riportare l’inflazione sotto controllo. Nelle precedenti riunioni, invece, non esitava a caratterizzare la dinamica e l’entità dei futuri aumenti.

L’inflazione non sembra scendere rapidamente verso il target del 2%…

Le ultime stime disponibili sono relative al mese di aprile con l’inflazione al 7%, in lieve aumento da marzo, ma nel complesso inferiore ai valori registrati dall’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia, l’inflazione core continua a mantenersi stabile su livelli elevati: ad aprile è stata del 5,6%. I prezzi nel settore dei servizi sono aumentati considerevolmente, riflettendo le riaperture post-pandemiche e la dinamica salariale che cerca di recuperare l’erosione del potere di acquisto. Peraltro, il mercato del lavoro continua a essere dinamico con la disoccupazione che è scesa a marzo a un nuovo minimo storico del 6,5%, mentre il totale delle ore lavorate è tornato ai livelli pre-pandemici.

Secondo l’ex Vicepresidente della Bce Vitor Costancio, l’Eurotower non dovrebbe utilizzare l’inflazione di fondo come target della politica monetaria. Cosa ne pensa?

Effettivamente, l’inflazione core non è stata un previsore dell’inflazione nell’Eurozona. In un certo senso è ovvio perché la nostra inflazione è stata importata: in altri termini, le componenti energetiche e agroalimentari – proprio quelle escluse nella versione core – l’hanno sospinta nella fase iniziale. Ora, invece, è l’inflazione core che rischia di sospingere l’indice generale. Negli Stati Uniti si è verificata, invece, una dinamica del tutto diversa, dal momento che l’inflazione ha avuto una componente domestica importante, non limitata al solo comparto dell’energia.

Negli Stati Uniti, dopo l’ultima riunione del Fomc, la posizione della Fed viene descritta come “attendista”. Lo è anche quella della Bce, visto il rialzo dello 0,25%?

In realtà, le posizioni relative nel ciclo dei rialzi sono piuttosto diverse. Mercoledì, il Fmoc ha deciso il decimo rialzo consecutivo dei tassi di intervento avviato nel marzo dello scorso anno. Nel complesso, la cumulata degli aumenti è stata pari a 5 punti percentuali accompagnata da una velocità nel rialzo dei tassi che non ha pari negli ultimi 40 anni e un livello dei tassi attuali che è il più alto negli ultimi 15-20 anni. Peraltro, la crisi bancaria che sta interessando gli Stati Uniti dallo scorso marzo ha inasprito ulteriormente le condizioni del mercato del credito al punto che una recessione nel secondo semestre dell’anno appare quasi certa. Per l’Eurozona, le prospettive rimangono nel complesso buone con il Fmi che prevede una crescita dello 0,8%, nonostante la lieve contrazione della Germania.

A proposito di crisi bancaria, i timori rispetto a quello che è emerso ancora negli ultimi giorni negli Stati Uniti, insieme al rialzo dei tassi, non rischiano di creare problemi al settore bancario e al credito?

La crisi bancaria americana, e lo spettro di possibili ripercussioni nell’Eurozona, impongono estrema cautela nella gestione della liquidità. Tuttavia, il Consiglio direttivo ha anticipato che a partire da luglio cesserà di reinvestire il montante che giunge a scadenza nell’ambito del programma non convenzionale di politica monetaria App. Si tratta di una decisione attesa, è vero, ma che inevitabilmente fa intuire un compromesso raggiunto all’interno del Consiglio direttivo: un aumento dei tassi più lieve – cioè di un quarto anziché mezzo punto – in cambio dell’azzeramento dei reinvestimenti.

(Lorenzo Torrisi)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI