La Banca centrale europea ieri ha alzato i tassi di interesse di 50 punti base e il Consiglio direttivo intende innalzarli “di altri 50 punti base nella prossima riunione di politica monetaria a marzo, per poi valutare la successiva evoluzione della sua politica monetaria”. L’Eurotower ha deciso anche le modalità di riduzione dei titoli detenuti nell’ambito del programma di acquisto App che sarà pari, come già comunicato a dicembre, “in media a 15 miliardi di euro al mese dall’inizio di marzo alla fine di giugno 2023 e verrà poi determinato nel corso del tempo”.



Come evidenzia Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, «la Bce, come nelle attese, ha aumentato di mezzo punto i tassi di intervento. Si tratta del quinto aumento consecutivo dei tassi a fronte di un’inflazione che rimane su livelli sostenuti. La stima dell’aumento dei prezzi fornita da Eurostat per il mese di gennaio è dell’8,5% in ragione d’anno, in diminuzione rispetto a dicembre (9,2%) e a novembre (10,1%), e di ben 2,1 punti percentuali in meno rispetto al picco di ottobre (10,6%). Tuttavia, l’inflazione core, al netto delle componenti più volatili come energia e beni alimentari, rimane invariata rispetto a dicembre (5,2%), in aumento rispetto al dato di novembre e ottobre (5%). Tuttavia, la riunione di ieri è servita a fornire, in realtà a confermare ulteriormente, indicazioni importanti sulla postura della Bce nei prossimi mesi. È stato confermato l’intento di procedere a un ulteriore, successivo rialzo di mezzo punto a marzo e, poi, di valutare i passi successivi. Questo non ci deve, tuttavia, indurre a ritenere che la Bce intenda prendersi una pausa dopo marzo».



In che senso?

La Presidente Lagarde ha veicolato con forza che la postura rimarrà restrittiva, sia in termini di ulteriori rialzi che osserveremo nei prossimi mesi, sia rispetto alla durata della stance restrittiva e alla permanenza degli alti tassi di interesse. L’obiettivo che appare guidare la maggioranza del Consiglio direttivo non è solo quello di ritornare al target inflazionistico del 2% nel medio periodo, ma di abbattere sensibilmente l’inflazione e in un tempo relativamente breve. In tal senso, la comunicazione della Lagarde è stata particolarmente aggressiva, soprattutto se si considera che i prezzi all’ingrosso del gas sono diminuiti sensibilmente così come quelli del petrolio, e le aspettative di inflazione, nel medio periodo, sono ancorate. Poiché la dinamica delle rivendicazioni salariali è contenuta rispetto ai dati sui prezzi che osserviamo, ne consegue che lo scenario inflazionistico sta migliorando. Peraltro, la stessa Presidente della Bce lo ha riconosciuto nel suo intervento in conferenza stampa.



Quanto potranno influire sulle scelte future della Bce le decisioni annunciate dalla Fed mercoledì?

L’altro ieri la Fed ha rallentato la velocità di marcia nella normalizzazione della politica monetaria, con un aumento di 25 punti base nei tassi di intervento. Tuttavia, occorre considerare che si tratta pur sempre del settimo aumento consecutivo dei tassi che sono arrivati al 4,5-4,75%. Segnalando due ulteriori aumenti di un quarto di punto, l’aspettativa è che il tasso terminale sarà raggiunto a breve, attestandosi nell’intervallo 5-5,25% – in contrasto, i tassi di intervento della Bce, anche dopo l’aumento di ieri, sono pari a poco più della metà. A quel punto, l’aspettativa è che le autorità americane si prendano una pausa per valutare gli effetti di quelli che saranno, sino ad allora, nove aumenti consecutivi. Anche la Banca di Inghilterra ha rialzato i tassi mezzo punto portando, ieri, il tasso pivot al 4%: si tratta, in questo caso, del decimo aumento di fila, dopo il quale è ragionevole attendersi una pausa. In entrambi i casi, tuttavia, siamo in presenza di banche centrali che hanno avviato prima la normalizzazione della politica monetaria, peraltro a fronte di una dinamica inflazionistica che, va precisato, aveva delle componenti domestiche particolarmente marcate rispetto allo shock che ha colpito l’Eurozona.

L’Italia in passato è stata oggetto di riferimenti più o meno espliciti durante le conferenze stampa della Presidente Lagarde. È successo anche stavolta?

Non sono mancati una serie di accenni all’Italia, anche se impliciti. Uno è stato un invito a tutti i Paesi dell’Eurozona ad approvare “quanto prima” le riforme alla governance economica dell’Ue. In sostanza, il Mes, ma anche il Patto di stabilità con le modifiche proposte dalla Commissione. Direi, tuttavia, che il passaggio più rilevante, sempre implicito, è nel comunicato stampa in cui, da un lato, si reitera che i tassi continueranno ad aumentare e si attesteranno su livelli elevati per tutto il tempo necessario a riportare l’inflazione al 2%, dall’altro si nota che da luglio è disponibile il Tpi, il cosiddetto scudo, per i Paesi più vulnerabili ma con buone politiche economiche. Nello specifico, l’Italia è impattata non solo dai rialzi dei tassi ma anche dalla decisione, confermata come nelle attese, che da marzo, e sino a giugno, i riacquisti di titoli di Stato diminuiranno di 15 miliardi al mese. In prospettiva, il tono da falco in seno alla Bce lascia presagire che a giugno tali riacquisti verranno ulteriormente abbattuti. Tanto per fornire una prospettiva quantitativa del problema, la Bce detiene oltre 750 miliardi di titoli di Stato italiano in portafoglio.

E questo avrà conseguenze per il rifinanziamento del nostro debito. Tra l’altro il rendimento dei Btp sta tornando ai livelli del 2012…

Le implicazioni sono significative non tanto per politica disinflazionistica della Bce che è nel suo trattato costitutivo. Invero, la via scelta appare quella di un abbattimento quanto più rapido possibile dell’inflazione, con conseguenze potenzialmente significative per l’economia reale. Nel nostro Paese, inoltre, occorre maggior cautela nell’interpretare il livello dello spread che ha risentito positivamente di una componente “importata” dagli Stati Uniti, dove i mercati sono relativamente euforici scontando quasi la fine della normalizzazione di politica monetaria. Oltre a una continua vigilanza sulle condizioni di mercato, occorre che il Governo rafforzi l’implementazione di una ambiziosa agenda di riforme, poiché la crescita è l’unica via di uscita alla mole significativa di debito pubblico che ha ereditato. Per converso, occorre evitare a tutti i costi, e per tempo, che si materializzino le condizioni di mercato per l’attivazione del Tpi, cosa che preluderebbe a un programma di aggiustamento del Mes.

Non sarà facile agevolare la crescita considerando anche che il Green Deal Industrial Plan proposto dalla Commissione al momento darebbe solo il via libera ad aiuti di Stato, con un successivo fondo comune europeo di cui non si conosce l’ammontare e su cui non mancano opposizioni da parte alcuni Paesi, tra cui la Germania.

L’enfasi sulla crescita e le riforme è ancora più rilevante se consideriamo che la spinta riformatrice in seno all’Ue pare vada esaurendosi, almeno temporaneamente. Il via libera agli aiuti di Stato implica una doppia asimmetria a carico dell’Italia. Da un lato, premia i Paesi con maggiore capacità fiscale escludendone altri come il nostro. Dall’altro, è un attacco al Mercato Unico, sfalsando il terreno di gioco degli operatori che, per definizione, dovrebbe essere il più possibile uniforme. In tal senso, rischia di palesarsi per l’Italia un doppio “shock europeo”: il ritmo intenso impresso alla normalizzazione monetaria e l’allentamento degli aiuti di Stato in assenza di altre iniziative più simmetriche e comunitarie. Spero che la prospettiva a Bruxelles cambi.

(Lorenzo Torrisi)

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