Il Consiglio direttivo della Bce ieri ha deciso di lasciare ancora invariati i tassi di interesse, che restano così ai massimi storici per l’Eurozona. E questo nonostante in conferenza stampa la Presidente Christine Lagarde abbia riconosciuto che l’inflazione continua a scendere e le previsioni siano state riviste al ribasso per via del calo dei prezzi energetici rispetto a un anno fa. Come ci spiega l’economista Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, “come largamente nelle attese, la Bce ha lasciato invariati i tassi di intervento, segnalando che l’avvio di una riduzione avverrà non prima di giugno. Tale segnale è coerente con le recenti aspettative di mercato che prezzano una riduzione a partire proprio da quel mese. La Bce ha anche diffuso la nuova batteria previsionale secondo la quale l’inflazione è in marcata riduzione per l’anno in corso – dal 2,7% atteso lo scorso dicembre al 2,3% attualmente atteso. Anche per il 2025 l’inflazione è in discesa – al 2% contro il 2,1% atteso in dicembre, attestandosi infine all’1,9% nel 2026, appena sotto il target inflazionistico. Se le previsioni sull’inflazione sono state riviste al ribasso, revisioni analogamente al ribasso sono state apportate alle previsioni di crescita, attestando un ulteriore deterioramento della congiuntura. Per l’anno in corso la Bce si aspetta una crescita del Pil dello 0,6% contro lo 0,8% formulato lo scorso dicembre”.
La Bce sta tenendo conto della discesa in corso dell’inflazione? Quanto sono fondati i rischi di un rialzo dei prezzi?
La Presidente Lagarde ha riconosciuto progressi significativi nella disinflazione, peraltro confermata anche dall’andamento dell’inflazione core – al netto delle componenti più volatili dell’energia e dei beni alimentari – che nell’anno in corso dovrebbe attestarsi al 2,6%, per scendere al 2,1% il prossimo anno e al 2% nel 2025. Ha sottolineato, tuttavia, che rimane un elemento di preoccupazione legato alla vischiosità della componente dei servizi, i cui prezzi sono maggiormente correlati con la dinamica retributiva. In tal senso, a giugno il Consiglio direttivo dovrebbe disporre di dati sufficienti per valutare compiutamente tale dinamica e l’effetto che sino ad allora avrà esercitato sull’andamento dei prezzi. Anche se l’avvio del ciclo di riduzione cominciasse a giugno, va tenuto presente che sarà, comunque, graduale.
Tutto questo cosa implicherà per l’economia europea e italiana?
Ci avviciniamo a uno scenario in cui il rischio che le restrizioni possano generare un undershooting dell’inflazione – deteriorando oltremodo la congiuntura – supera il rischio che l’inflazione possa essere non tutto domata. Le forze disinflative stanno operando con efficacia nell’Eurozona e, in particolare, in Germania, le cui prospettive di crescita rimangono pessimistiche anche per quest’anno. Le stesse revisioni al ribasso su inflazione e crescita formulate dalla Bce nella batteria previsionale appena divulgata sembrano implicitamente confermare questo timore.
Nell’audizione al Senato, il Presidente Powell ha ribadito che la Fed non ha fretta di tagliare i tassi. Questo cosa comporta per la Bce?
Il caso americano è assai diverso da quello dell’Eurozona. L’inflazione negli Stati Uniti ha mostrato una minore velocità di caduta nei dati più recenti, mentre l’economia continua a crescere, anche grazie a una politica fiscale espansiva. Nell’Eurozona, al contrario, tutti i dati acquisiti – comprese le aspettative di inflazione variamente misurate – indicano una convergenza attorno al target inflazionistico del 2% già dal prossimo anno grazie alla disinflazione in atto, in un contesto di progressivo deterioramento congiunturale, a partire dalla prima economia dell’area, la Germania.
Che dire riguardo la condizione del credito? La Bce ha in mente qualche manovra per facilitarlo visti i livelli dei tassi o al contrario ritiene sia meglio non incentivarlo?
Il deterioramento nelle condizioni di accesso al credito è esattamente uno dei canali attraverso il quale la restrizione della politica monetaria si trasmette all’economia. Tale deterioramento conferma che l’inasprimento monetario sta esercitando gli effetti voluti dall’Autorità monetaria, comprimendo la domanda di credito nell’economia.
Durante la conferenza stampa, a Lagarde è stato chiesto anche di pronunciarsi sulla confisca delle riserve valutarie russe da destinare alla ricostruzione ucraina. Ci può dare un suo commento in merito?
La discussione sulla eventuale confisca delle riserve valutarie russe è particolarmente rilevante per l’Eurozona poiché le riserve valutarie russe sono detenute in euro anziché in dollari. Tuttavia, a differenza dell’ordinamento legale americano dove la presidenza può procedere a confische di assets finanziari in circostanze analoghe, nei Paesi dell’area gli ordinamenti non sembrano consentirlo. Naturalmente la volontà politica può giocare un ruolo significativo nell’ambito del G7 dove tali discussioni si stanno sviluppando, ma la Bce ha segnalato di non gradire una forzatura dell’attuale ordinamento. La questione non è irrilevante poiché parliamo di circa 300 miliardi, oltre un terzo del fabbisogno stimato per la ricostruzione dell’Ucraina, pari a 750 miliardi.
(Lorenzo Torrisi)
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