Nel bollettino economico diffuso la settimana scorsa, la Bce spiega di ritenere “che i tassi di interesse debbano ancora aumentare in misura significativa, a un ritmo costante, per raggiungere livelli sufficientemente restrittivi da assicurare un ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2% nel medio termine”. Secondo le previsioni dell’Eurotower, infatti, nel 2025 l’inflazione sarà pari al 2,3%.
Nei primi giorni dell’anno, ci sono stati interventi da parte di membri del Governo, dei vertici dell’Abi e di economisti, per evidenziare i rischi che le politiche annunciate dalla Bce potranno avere per il nostro Paese, chiedendone in alcuni un ripensamento. Secondo Massimo D’Antoni, docente di Scienza delle finanze nell’Università di Siena, «la Banca centrale europea ribadisce il proprio mandato, che è quello di garantire la stabilità dei prezzi. La soluzione classica al problema dell’inflazione è l’innalzamento dei tassi di riferimento, così da “raffreddare” l’economia e, riducendo la domanda, indurre le imprese a non aumentare i prezzi e i lavoratori a non chiedere aumenti salariali.
Siccome questa azione della Bce ha un costo per l’economia, perché deprime la crescita, i profitti e l’occupazione, si tratta di trovare un equilibrio tra due mali. Il mandato della Bce è quello di combattere l’inflazione, nel farlo terrà conto degli altri effetti, ma la sua azione tende a essere sbilanciata verso la propria missione. Oliver Blanchard, un economista molto noto, già capo economista del Fondo monetario internazionale, ha recentemente ricordato che in ultima analisi l’inflazione nasce da un conflitto distributivo: imprese, lavoratori, contribuenti. Dunque è fisiologico che ci siano critiche da parte di chi maggiormente rischia di pagare il costo della lotta all’inflazione.
Nell’Eurozona l’inflazione, visto anche l’andamento del prezzo del gas, potrebbe scendere. Questo potrebbe portare a una politica della Bce meno restrittiva?
Speriamo che questo accada. Il prezzo del gas è calato in modo significativo rispetto al picco dei mesi scorsi e così il costo dell’energia. In questo l’inverno mite che stiamo vivendo ha aiutato. Resta da capire a quale livello di inflazione la Bce deciderà di allentare la sua politica monetaria. Punterà al 2% di inflazione, come sottinteso dal bollettino che citava? Oppure si accontenterà di riportare l’inflazione al 3-4%? Sempre Blanchard tempo fa disse che il 2% era un obiettivo troppo basso e andrebbe rivisto al rialzo.
Nel bollettino della Bce si legge anche che una volta che verranno meno le misure dei Governi a sostegno di famiglie e imprese l’inflazione salirà. In Italia abbiamo già visto il rialzo del prezzo della benzina e a fine marzo scadono i sostegni contro il caro bollette inseriti nella Legge di bilancio. Nel nostro Paese l’inflazione rischia di scendere meno che nel resto dell’Eurozona? Sarebbe, quindi, meglio prorogare questi sostegni?
In Italia abbiamo meno spazio di manovra fiscale. Il Governo ha mantenuto il sostegno alle famiglie contro le bollette, ma ha “mollato” sulle accise, togliendo lo sconto deciso dal Governo Draghi in un momento di eccezionale rincaro del prezzo del petrolio. A mio avviso da un punto di vista equitativo e ambientale non è stata una scelta sbagliata concentrare lo sforzo sulla prima misura. Dico ambientale perché l’aumento del prezzo dell’energia può avere l’effetto positivo di spingere le famiglie a rivedere le loro scelte in fatto di mobilità. Detto questo, indubbiamente anche l’aumento del prezzo della benzina ha un effetto inflazionistico. Sul meglio o peggio bisogna sempre considerare come quelle risorse fiscali sarebbero altrimenti utilizzate. Visto che il prezzo della benzina aumenta i costi della mobilità privata, sarebbe auspicabile che le risorse risparmiate fossero utilizzate per migliorare il trasporto pubblico locale.
Secondo la Bce, se ci sarà recessione, questa sarà lieve e breve. Troppo ottimismo?
Non sono in grado di opporre una mia previsione a quella della Bce. Mi auguro solo che a Francoforte mostrino una certa umiltà e siano pronti a rivedere rapidamente le proprie scelte in caso di errore. Non sarebbe la prima volta che la Bce sottovaluta gli effetti delle proprie scelte in fatto di tassi di interesse. Ricordiamo quanto ci è costato questo errore nel 2010, quando una sottovalutazione della situazione creò le condizioni per la crisi dei debiti sovrani.
Proviamo a fare una sintesi finale. Quali effetti le politiche annunciate dalla Bce potranno avere per il sistema produttivo, per quello bancario e per i conti pubblici (vista anche la mole di titoli di stato da emettere quest’anno)?
È abbastanza ovvio quali siano le conseguenze immediate di un aumento dei tassi di interesse. Un maggiore costo del credito significa contrazione della domanda, minore livello di attività, in breve minore crescita. Per i conti pubblici, significa un aumento della spesa per interessi, che negli ultimi anni è stata relativamente contenuta. Dunque, nubi all’orizzonte. Non mi chieda però quantificazioni o previsioni, ci sono troppi elementi di incertezza: dall’andamento del conflitto in Ucraina, alla nuova ondata pandemica in Cina, ai cambiamenti nei rapporti commerciali… Come ho detto, mi auguro innanzitutto che ci sia la capacità di correggere la rotta in caso di necessità, con pragmatismo, senza attaccarsi a certi obiettivi in modo ideologico.
Se la politica monetaria diventa restrittiva, dovrebbe esserci una politica fiscale a livello europeo in grado di controbilanciare gli effetti negativi delle mosse della Bce?
Dovrebbe, certo. Una tale politica potrebbe essere orientata a intervenire sui prezzi dell’energia, che sono tra i responsabili principali di questa fiammata inflazionistica ma hanno anche effetti importanti sull’evoluzione di lungo periodo del nostro modello produttivo. In parte a questo dovrebbe servire il Pnrr.
Un’ultima domanda. La Cgil propone di compensare gli effetti del fiscal drag indicizzando le detrazioni da lavoro dipendente. Cosa ne pensa?
Finora abbiamo lasciato fuori dal nostro discorso i lavoratori. Non è un caso, temo. Quando sento parlare di rischio di spirale prezzi-salari mi chiedo dove stia l’aumento dei salari. Purtroppo i lavoratori sono, non da ora, in una condizione di debolezza, quindi il rischio è che l’inflazione si risolva in un aumento dei salari molto inferiore all’aumento dei prezzi, con l’effetto di peggiorare il tenore di vita medio e anche le diseguaglianze nel nostro Paese. Il fiscal drag è un problema rilevante quando i salari sono indicizzati o quando essi aumentano per effetto dell’inflazione. Con questo non voglio dire che non sia corretto affrontarlo. Ci sono diversi modi per farlo e uno è quello proposto dalla Cgil: l’indicizzazione della struttura dell’imposta sul reddito, che comprende le detrazioni ma anche i limiti degli scaglioni di imposta. Raramente però lo si è fatto. Aggiungo che, per evitare un impoverimento della parte più vulnerabile della popolazione, dovrebbero essere indicizzati anche altri benefici a essi indirizzati.
(Lorenzo Torrisi)
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