Nemmeno il whatever it takes di Mario Draghi, allora a capo della Bce, era arrivato a tanto. Giovedì 2 febbraio, dopo la conferenza stampa di Christine Lagarde, gli operatori hanno preso d’assalto i Btp. Di fronte al boom della domanda i tassi sono scesi al 3,87% dal 4,28%. In una sola seduta i decennali, tra protagonisti di un forte recupero nel mese di gennaio (pari al 9%), hanno guadagnato il 3,6%. Un recupero tanto violento quanto all’apparenza inspiegabile. Ai tempi di Draghi, la resurrezione del debito pubblico italiano fu il risultato del sostegno garantito dal programma di Quantitative easing, ovvero la garanzia implicita dell’assorbimento dei titoli di casa nostra da parte della banca centrale in un quadro di tassi bassi. Niente che assomigli alle decisioni annunciate da madame Lagarde nelle vesti di falco.
La Bce, lungi dal frenare l’aumento dei tassi come inutilmente auspicato dal nostro Governo, non solo ha dato il via ad un aumento immediato di mezzo punto, il doppio di quanto deciso il giorno prima dalla Federal Reserve, ma ha anche anticipato un altro aumento di mezzo punto per la riunione di marzo. E potrebbe non finire lì, visto l’andamento dell’inflazione. Certo, il calo della bolletta energetica favorisce la discesa del carovita, ma il dato core (al netto di alimentari ed energia) resta saldamente al di sopra del 5%, lontano dall’obiettivo dichiarato del 2%. Niente che possa giustificare l’euforia dei mercati finanziari, a partire da Piazza Affari che pure, in un solo mese, ha messo a segno un rialzo del 13%: a rigor di logica, l’aumento del costo del denaro dovrebbe provocare l’effetto opposto. Come spiegare la reazione a sorpresa dei mercati?
Prima risposta: le Banche centrali mentono sapendo di mentire. Le Banche centrali, Fed in testa, stanno effettuando un bluff, titolava l’altro giorno il Wall Street Journal di fronte alla prudenza della banca centrale Usa. È possibile che il costo del denaro negli Usa possa salire ancora, seppur di poco. Ma è già tempo di attrezzarsi per la riscossa, anticipata in questi giorni, dal rimbalzo dei titoli tecnologici, i più bersagliati.
Anche madame Lagarde, a ben vedere, è stata attenta a lasciarsi una via di fuga. Al cronista che gli chiedeva come si spiegava la corsa agli acquisti dei bond, la Presidente ha risposto che la Bce “intende” aumentare i tassi di 50 punti base anche a marzo, ma questo dipenderà dai dati di mercato. Se l’inflazione di fondo dovesse persistere, è probabile che la Bce continuerà a mantenere un atteggiamento restrittivo. Tuttavia, se l’inflazione di fondo dovesse mostrare segni di rallentamento, le colombe potrebbero essere incoraggiate.
Per ora resta la sensazione che il mercato non creda davvero che la Bce possa mantenere questo tono da falco più a lungo di quanto già previsto. Un indizio, dicono gli esperti, è che stavolta, nel comunicare l’aumento, la Banca centrale europea non ha fatto riferimento all’attesa di un nuovo rialzo dell’inflazione, ammettendo così implicitamente che l’aumento dei prezzi è in parte sotto controllo. Se questo scenario fosse confermato, già entro maggio/giugno la Bce potrebbe aver ultimato il processo di rialzo dei tassi per poi concedersi una pausa di qualche mese.
In prospettiva, dunque, l’inflazione generale potrebbe continuare a calare, mentre quella core potrebbe intraprendere lo stesso percorso dopo aver prima attraverso una fase laterale di 2-3 mesi intorno al 5%. Gli acquisti di giovedì stanno a indicare che gli operatori stanno iniziando già a posizionarsi in questa direzione. E con la preoccupazione, tipica della finanza, di non perdere l’autobus di un rally già in corso. Alla luce dell’andamento di oggi, infatti, appare quasi profetico il boom dell’offerta di obbligazioni verdi dell’Eni al 4,30%, sottoscritta da 309 mila risparmiatori. E non meno confortante è la ripresa di valore della “carta” più debole: rispetto ai Bund tedeschi, lo spread è sceso a poco più di 170 punti. Ma il fenomeno si estende anche ad altri mercati, a partire dagli Emergenti: a gennaio sono stati collocati 61 miliardi di dollari, principalmente da parte di Messico, Arabia Saudita ma anche Mongolia, grande scrigno di materie prime.
Andrà proprio così? Non è detto. Ma molto è stato fatto per domare gli spiriti maligni dell’inflazione. La domanda globale, grazie a otto interventi consecutivi al rialzo sul costo del denaro, è stata riportata su livelli più in linea con l’offerta. Ma, complice la continuazione della guerra e le tensioni che si stanno manifestando sul fronte dei salari, è difficile pensare che le Banche centrali intendano abbassare la guardia a breve. Ma è già importante che la fase dei rialzi sia agli sgoccioli.
In termini di finanza pubblica, il Tesoro può tirare un piccolo sospiro di sollievo. Senza abbassare la guardia però, perché le tensioni sul costo del denaro sono destinate a protrarsi nel corso del prossimo futuro. Come nota Sylvain Broyer di S&P “gli shock subiti dal commercio globale dopo la pandemia e la necessità di rendere più ecologiche le nostre economie implicano un processo che richiederà necessariamente maggiori investimenti, un nuovo equilibrio del risparmio e quindi tassi più alti”. Il futuro, insomma, resta molto impegnativo specie per un Paese che non ha i conti in ordine. Anche perché la presentazione del “piano verde” dell’Ue ha per ora confermato che i Paesi più ricchi non intendono versare nuovi capitali per un Fondo sovrano europeo mentre, per quanto riguarda gli aiuti di Stato, prevale la logica degli interventi dei singoli Stati, a tutto vantaggio della Germania. Di qui il rischio che le aziende vengano sottoposte a una duplice concorrenza sleale, da parte Usa, ma anche dei “cugini” europei.
Il boom della Borsa e i guadagni dei Btp a conforto dei risparmiatori non devono dunque illudere: per disinnescare i pericoli che incombono sulla crescita occorre quantomeno portare a compimento le riforme richieste dal Pnrr, specie la concorrenza (paralizzata dai bagnini) o la riforma della giustizia che non passa solo dal 41 bis ma anche, anzi soprattutto, dai tempi della giustizia civile. Ma di questo, ahimè si parla sempre di meno in una stagione dominata dalle armi di “distrazione di massa”. E buon Sanremo a tutti.
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