Tra una settimana sarà in pieno svolgimento il simposio di Jackson Hole organizzato dalla Federal Reserve di Kansas City, cui tradizionalmente partecipano importanti economisti e policymaker, nonché i principali banchieri centrali occidentali. Dalle dichiarazioni di quest’ultimi, gli analisti cercheranno sicuramente di trarre indicazioni sulle prossime mosse di Fed e Bce riguardo i tassi di interesse. Intanto mercoledì scorso è stato diffuso il dato sull’inflazione di luglio negli Stati Uniti. E, come ricorda Domenico Lombardi, Professore di Politiche economiche e Governance dell’Eurozona alla Luiss, di cui dirige il Policy Observatory, «secondo le rilevazioni appena divulgate dal Dipartimento del Lavoro, l’indice dei prezzi è aumentato del 2,9% nell’anno sino a luglio e dello 0,2% rispetto al mese precedente. L’inflazione core, depurata delle componenti più volatili, è stata del 3,2%, mentre la variazione mese su mese è stata, anche in questo caso, dello 0,2%. L’incremento – ancora sostenuto – della componente dei servizi è stato compensato dalla dinamica dei prezzi dei beni, facendo così registrare dei tassi di variazione dell’indice che, nell’aggregato, non si osservavano dal 2021. Nel complesso, il quadro inflattivo si va progressivamente stabilizzando, anche se l’aumento dei prezzi mese su mese non è stato trascurabile».
Riprendendo quello che ci ha detto nella precedente intervista, pensa che i mercati “presseranno” ancora le Fed per una maggior riduzione dei tassi, magari subito dopo le parole di Powell a Jackson Hole nel caso non fossero di loro gradimento?
Gli ultimi dati sull’inflazione sono risultati sostanzialmente in linea con le aspettative di mercato e, infatti, non ci sono stati movimenti di rilievo in seguito alla loro divulgazione. I mercati, in effetti, hanno gli occhi puntati sui dati della congiuntura economica, innanzitutto quelli relativi al mercato del lavoro come le nuove richieste di sussidi di disoccupazione disponibili su base settimanale e quelli sui salari che saranno resi noti il prossimo 6 settembre. Dal lato della Fed, se il taglio dei tassi nella riunione di settembre appare scontato, il Fmoc valuterà con almeno pari attenzione la batteria di dati che si renderà disponibile sino alla riunione del 16 settembre per calibrare l’entità del taglio a settembre e inquadrarlo nel contesto di una velocità appropriata di riduzione dei tassi a novembre e dicembre.
Si attendono anche le mosse della Bce. In queste settimane si sta parlando dell’inflazione turistica. Questa può davvero rappresentare un ostacolo alla discesa dei tassi nell’Eurozona?
Se analizziamo le ultime rilevazioni dell’Eurostat, osserviamo che la componente dei servizi rimane stabile attorno al 4%, mentre le altre si vanno gradualmente stabilizzando. La componente servizi, in effetti, tende a essere più sensibile alla dinamica del costo del lavoro che sta gradualmente recuperando parte del potere di acquisto perso in questi anni. Nel complesso, tuttavia, l’inflazione core va diminuendo: il dato di luglio si attesa al 2,3% rispetto, ad esempio, al 3,9% dello scorso febbraio. In tal senso, sarebbe un errore pesare eccessivamente variazioni idiosincratiche del tasso di inflazione e delle sue componenti nel momento in cui le aspettative di medio periodo risultino ancorate al target della Bce. Peraltro, l’outlook congiunturale dell’Eurozona si sta deteriorando progressivamente, nonostante gli ottimi dati registrati sinora dalla nostra economia.
A questo proposito, mercoledì Eurostat ha comunicato il dato sulla produzione industriale nell’Eurozona relativo al mese di giugno (-3,9% tendenziale), mentre martedì la lettura dell’indice Zew sull’economia tedesca è risultata ben al di sotto delle aspettative. La Bce non sta sottovalutando la situazione?
In realtà, la Germania ha registrato una variazione negativa superiore alla media dell’Eurozona e pari a -4,1%. L’indice Zew, che monitora le aspettative degli analisti nei sei mesi successivi, è uscito in agosto significativamente al di sotto delle attese e testimonia le crescenti preoccupazioni in Germania sulle prospettive dell’economia. A dispetto delle previsioni di ripresa più volte formulate e su cui avevo personalmente espresso scetticismo, l’economia tedesca sta attraversando una fase strutturale di difficoltà che rischia di generare inevitabili contraccolpi nel resto dell’Eurozona. Credo che questo rappresenterà un ulteriore elemento di pressione quando il Consiglio direttivo della Bce si riunirà il prossimo 12 settembre.
Quanto l’Italia deve essere preoccupata della situazione dell’economia tedesca?
La condizione stagnante dell’economia tedesca sta rallentando la dinamica di interi settori industriali del nostro Paese, rispetto a cui la piena attuazione del Pnrr rimane ancor più critica. Le ultime rilevazioni Eurostat mostrano che il Pil dell’Eurozona nel secondo trimestre è cresciuto dello 0,3% rispetto a quello precedente. Tuttavia, la variazione in Germania è stata negativa, sia pure di poco. A fronte di tali sviluppi, la Bce dovrebbe considerare un allentamento della restrizione monetaria, a fronte di aspettative stabili dell’inflazione.
(Lorenzo Torrisi)
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