L’ultima volta in cui ci siamo occupati delle politiche monetarie della Bce, lo scorso giugno, abbiamo messo in risalto due criticità, nessuna delle quali può essere considerata nuova essendo anzi da parecchio tempo sotto i riflettori. Alla luce della decisione dell’ultima riunione del board della Bce di lasciare invariati i tassi di riferimento è opportuno riassumerle.
La prima riguarda il fatto che, anche se l’obiettivo principe di ogni banca centrale è quello di preservare il valore e dunque il potere d’acquisto della moneta emessa, nessuna di esse dovrebbe disinteressarsi degli eventuali costi recessivi delle proprie politiche restrittive. Questa eventualità non si pone evidentemente al banchiere centrale che operi in un mondo economico perfettamente keynesiano, nel quale l’inflazione è il male delle fasi espansive del ciclo economico mentre la disoccupazione è il male delle fasi recessive. In quel mondo il banchiere centrale non può avere dubbi e non esiterà a premere sul freno monetario nella prima condizione e sull’acceleratore nelle seconda.
Ma quel mondo, che pure si è riproposto transitoriamente durante la recessione macro del 2008-9 e poi nuovamente nel biennio Covid 2020-21, è divenuto inabituale a partire dagli anni Settanta del ‘900, dunque nell’ultimo mezzo secolo, nel quale i grandi fenomeni inflattivi sono stati prodotti da shock dal lato dell’offerta, come le crisi petrolifere e la recente crisi del gas russo, e si sono accompagnati con tendenze recessive, dando luogo all’accoppiamento dei due mali noto come stagflazione, pertanto stagnazione più inflazione contemporaneamente.
Questo è proprio ciò che si è verificato in Europa nell’ultimo triennio, quando la crisi del gas russo ha dapprima fatto esplodere l’inflazione e in seguito, ampiamente aiutata dalle politiche recessive della Bce, ha completamente azzerato la crescita economica dell’area dell’euro. In presenza di stagflazione non è possibile combattere con nessuna politica economica dal lato della domanda contemporaneamente i due mali dell’inflazione e della stagnazione, ma solo uno dei due a condizione di essere disponibili ad aggravare l’altro. Così politiche espansive, monetarie o fiscali che siano, curano la recessione ma aggravano l’inflazione mentre politiche recessive, come quelle della Bce, curano l’inflazione ma aggravano la recessione. Ma questo trade off non sembra essere stato considerato in sede di scelte monetarie della nostra banca centrale, o quanto meno non esplicitato nelle dichiarazioni ufficiali. Nel caso della Fed, al contrario, le politiche monetarie restrittive hanno combattuto un’inflazione generata all’interno di un ciclo economico rimasto positivo e con buone dinamiche delle componenti della domanda aggregata. Dunque un contesto molto diverso dal nostro.
La seconda critica, divenuta ancor più d’attualità a seguito della decisione della Bce di non proseguire nella riduzione dei tassi, riguarda il fatto che, se la Banca centrale ha come unico obiettivo il controllo dell’inflazione e si disinteressa dei costi recessivi della disinflazione, almeno il fenomeno inflattivo dovrebbe essere in grado di capirlo, di dominarlo e soprattutto di prevederlo. Se l’inflazione è la belva feroce della Bce, allora essa ne dovrebbe essere il domatore, in grado di prevederne in anticipo le mosse e di contrastarne tempestivamente la dinamica.
Invece la Bce continua a dire di non sapere cosa accadrà esattamente all’inflazione nell’immediato futuro, se continuerà a ridursi, starà ferma oppure cambierà di direzione, e in conseguenza aspetta di vedere come essa si comporterà per decidere di volta in volta se proseguire o meno nel calo dei tassi d’interesse, avviato molto timidamente due mesi fa.
Questo è avvenuto anche a seguito dell’ultima riunione del board. Si legge infatti nel comunicato stampa: Le decisioni sui tassi di interesse saranno basate sulla sua valutazione delle prospettive di inflazione, considerati i nuovi dati economici e finanziari, della dinamica dell’inflazione di fondo e dell’intensità della trasmissione della politica monetaria, senza vincolarsi a un particolare percorso dei tassi”. E ancora: “Per determinare livello e durata adeguati della restrizione, il Consiglio direttivo continuerà a seguire un approccio guidato dai dati in base al quale le decisioni vengono definite di volta in volta a ogni riunione”. Nella successiva conferenza stampa il Governatore Lagarde ha inoltre dichiarato: “La questione di cosa faremo a settembre è aperta e verrà decisa a seconda degli elementi”. La sintesi di queste dichiarazioni è che la Bce sta dicendo di non avere alcuna idea di come andrà l’inflazione nei prossimi mesi e pertanto neppure di quali decisioni potrebbe adottare riguardo ai tassi.
Non è esattamente quello che ci si attende da un banchiere centrale, il cui mandato non è quello di aspettare i numeri sull’inflazione per poi decidere sui tassi, nel qual caso potrebbe senza danni essere tranquillamente sostituito da un algoritmo. Ci si aspetta al contrario che i numeri sia in grado di prevederli e persino condizionarli, usando l’estintore della sua credibilità e della sua autoregolezza per spegnere quella cosa che nel caso del fenomeno inflattivo è fondamentale e che va sotto il nome di aspettative. La volta scorsa abbiamo suggerito quella che avrebbe dovuto essere l’affermazione corretta e che tale resta tuttora. Pertanto la ripetiamo: “La Bce si aspetta che l’inflazione rientri spontaneamente entro un tempo breve al valore obiettivo, avendo già percorso nell’ultimo anno e mezzo quasi il 95% della strada del rientro necessario. In maniera coerente ci aspettiamo di proseguire in autunno nel percorso di riduzione dei tassi. Ovviamente qualora fossimo smentiti, ma la probabilità è molto ridotta, provvederemo a correggere le nostre politiche”.
Come evidenziato la volta scorsa questo sarebbe stato un modo molto efficace per influire sulle aspettative d’inflazione degli operatori economici, per usare l’estintore sulle medesime. Infatti, come sostenevamo allora e ribadiamo ora, se la Bce non sa dove andrà l’inflazione perché dovrebbero saperlo i singoli agenti economici con maggior sicurezza e meglio di lei? E se invece la Bce ritiene convintamente che l’inflazione tornerà alla normalità perché non dovrebbero crederci i singoli agenti economici dei Paesi dell’euro?
L’inflazione da aspettative d’inflazione è l’inflazione più facilmente domabile, tramite una credibile e convinta azione di moral suasion.
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